Salute animale
Tricofitosi, un problema ancora attuale
Per limitare la diffusione di questa micosi cutanea occorre mantenere elevati standard igienici, offrire un’adeguata alimentazione e soprattutto realizzare una corretta colostratura
La tricofitosi è una zoonosi e, più specificatamente, una zooantroponosi, cioè una patologia che può esser trasmessa dall’animale all’uomo, la quale è diffusa a livello mondiale e costituisce un problema sia per la sanità e la redditività degli allevamenti, sia per la salute umana. La malattia è conosciuta anche con il termine anglosassone di “ringworm” per il tipico aspetto delle lesioni ma, in Italia, assume denominazioni diverse a seconda delle regioni: oladeghe, derbi, tigna, pelarole, malattia delle macchie e petinie.
In Germania, la tricofitosi è chiamata con i nomi di “micosi degli occhiali”, “malattia delle croste” e “fungo calvo”.
Il patogeno e le lesioni
La patologia è una dermatofitosi, ossia una micosi cutanea, sostenuta principalmente (84,4-99%) da Trichophyton verrucosum (TV), un micete zoofilo a lenta crescita (2-3 settimane), il quale parassitizza i tessuti cheratinizzati (il coinvolgimento dei tessuti profondi è raro) prevalentemente dell’epidermide, del pelo, ma anche degli unghioni. Trichophyton verrucosum invade il pelo dell’animale sotto forma di artrospore infettanti (grandi spore di diametro pari a 5-10 μm), che penetrano e dilagano all’interno dei follicoli piliferi, facilitate dalla distruzione meccanica e dalla macerazione dello strato corneo del tessuto tegumentario.
Lesioni da Trichophyton verrucosum a livello della regione periorbitale (foto Olivari, 2012)
Le ife fungine (micelio), che si originano successivamente, proliferano sulla superficie della radice del pelo e migrano fino al bulbo pilifero producendo contemporaneamente gli enzimi cheratinofili e cheratinolitici, ossia in grado di digerire la cheratina, i quali consentono alle ife di penetrare e crescere all’interno del pelo. In seguito, la segmentazione e la frammentazione delle ife danno origine ad altre artrospore che, essendo molto resistenti, possono sopravvivere vitali nell’ambiente anche per 18 mesi.
Normalmente, infatti, si nota un’elevata persistenza della tricofitosi all’interno della mandria associata ad una tendenza della patologia a perpetuarsi. Le lesioni osservabili sul mantello degli animali (grafico 1), a livello della testa e, in particolare, delle regioni periorbitali, del collo e del torace, appaiono come chiazze anulari, più o meno numerose, focali o multifocali, squamose ed eritematose, asciutte e alopeciche a causa di una maggiore fragilità della radice dei peli: talvolta le lesioni sono ricoperte da croste bianco-grigiastre dall’aspetto polveroso.
La lesione più tipica, e generalmente anche più frequente, è un focolaio anulare caratterizzato da un’area centrale di pelle, in fase di guarigione, circondata da una zona periferica di espansione, la cui superficie presenta delle piccole papule follicolari e delle creste. Tuttavia, possono comparire anche delle papule follicolari che, in seguito a lesioni foruncolotiche sostenute da batteri, evolvono in noduli ulcerati. La persistenza delle lesioni può durare anche 5-9 mesi. L’infezione micotica sugli unghioni (onicomicosi) si manifesta con lesioni regressive che deformano la scatola cornea conferendo al tessuto corneificato un aspetto opaco associato ad una consistenza friabile; la superficie dorsale degli unghioni può essere ricoperta da croste.
Diffusione
Sebbene sia una dermatofitosi a carattere autolimitante, la tricofitosi ha una prevalenza variabile tra il 19% e il 35% con una media del 24,86%; la percentuale varia in relazione alle differenti categorie di bovini d’allevamento (tabella 1).
La patologia colpisce prevalentemente (71,7%) i bovini di età inferiore ai 6 mesi, diffondendosi rapidamente tra gli animali privi di immunità specifica; nella normalità dei casi tutto il gruppo di animali si infetta e le vitelle sono più colpite (91,6%) rispetto ai maschi (84%).
In termini di diffusione, la patologia può coinvolgere fino 50-100% degli allevamenti di una determinata area. In Germania, la tricofitosi compare, ogni anno, in più del 40% dei bovini da riproduzione.
Lesioni su testa e collo (foto Magoni, 2022)
Diagnosi e controllo
Indubbiamente la prevenzione e il controllo per limitare la diffusione della patologia in allevamento si basano: sul mantenimento di elevati standard igienici, ottenuti mediante l’attuazione di specifici protocolli di pulizia e disinfezione, su un’adeguata alimentazione (in particolare, per quanto riguarda gli apporti di microelementi minerali, quali Selenio, Zinco e Rame, e di vitamine, soprattutto A, D ed E) e sulla corretta colostratura.
Oltre, alla rilevazione visiva delle lesioni cutanee, una diagnosi più precisa si esegue, in laboratorio e a partire da uno scarificato cutaneo (croste, peli), mediante un esame microscopico a fresco, un esame colturale su substrato selettivo o un test PCR.
Attualmente, in Germania, è disponibile un test rapido da eseguire direttamente in stalla. Per quanto riguarda il trattamento, tra gli allevatori si notano due atteggiamenti differenti: una propensione all’utilizzo di prodotti antimicotici ad uso topico, limitatamente al solo trattamento degli animali malati, o lasciare che la malattia prosegua il suo decorso senza adottare alcuna misura contenitiva. Nei bovini al pascolo, esposti all’aria e all’irradiazione solare diretta, si nota una rapida regressione e guarigione della malattia.
Significato economico
La tricofitosi riduce l’assunzione alimentare nei bovini che ne sono affetti ed è dimostrato che compromette la produzione di latte, sebbene sia difficile quantificare la reale entità del calo produttivo quando, all’interno della mandria, il numero di bovine colpite è ridotto. Al contrario, è più evidente l’effetto sugli animali giovani che, secondo una ricerca (Rossi et al., 2012) per il 34% dei casi manifestano un ritardo nella crescita corporea fino a 130 g/giorno rispetto ai soggetti sani.
Nei bovini da carne il minore accrescimento si traduce in una riduzione del peso vivo alla macellazione pari a 10-13 Kg/capo. Un’ulteriore perdita è rappresentata dal deprezzamento che subiscono i pellami ottenuti dai bovini malati: in Germania, la perdita delle concerie ammonta a 7,5 milioni di euro all’anno.
Nei vitelli malati è stata segnalata una maggiore predisposizione alla diarrea e alle patologie polmonari con un ulteriore aggravio delle perdite economiche in termini di costi veterinari e di ritardo della crescita, nonché di compromissione delle future performance produttive e riproduttive delle vitelle. Infine, bisogna considerare anche l’aggravio economico, a carico della previdenza sociale, generato dai costi per gli operatori che hanno contratto la malattia.
Fattori predisponenti
L’insorgenza della tricofitosi è legata a molteplici fattori:
1) l’introduzione in una mandria priva di immunità specifica, di nuovi animali asintomatici che solo successivamente sviluppano delle lesioni visibili;
2) il contatto diretto tra gli animali sani e quelli malati o apparentemente sani (il 20% dei soggetti, privi di lesioni visibili, sono in realtà portatori sani);
3) la produzione, da parte di Trichophyton verrucosum, di tossine o altre sostanze che riducono la risposta immunitaria cellulare inibendo, contemporaneamente, la rigenerazione dello strato corneo;
4) la stagione e il clima: l’incidenza più elevata della forma clinica si registra in autunno-inverno quando il clima è freddo e umido;
5) il microclima dell’allevamento: in particolare, quello caldo-umido tipico dei ricoveri chiusi e scarsamente illuminati associato alla presenza di deiezioni stagnanti, delle lettiere sporche e al sovraffollamento degli animali;
6) la mancata disinfezione delle strutture stabulative (soprattutto le gabbiette e gli igloo dei vitelli) con specifici prodotti e l’inosservanza del vuoto sanitario (“tutto pieno-tutto
vuoto”);
7) il mancato rispetto della quarantena per i soggetti di nuovo acquisto;
8) la presenza, all’interno della mandria, di bovini affetti da una ridotta risposta immunitaria indotta da virosi, da ectoparassiti (mosche e mallofagi), da malnutrizione, da trattamenti con i glicocorticoidi e da stress da gravidanza o da inizio della lattazione. La minore efficienza immunitaria si riscontra anche nei bovini giovani o anziani che risultano, quindi, più esposti a contrarre la malattia;
9) per l’uomo, riveste un ruolo fondamentale, il prolungato contatto quotidiano, in particolare durante la mungitura.
Lesioni sul padiglione auricolare (foto Olivari, 2022)
Approccio responsabile
L’importanza che la tricofitosi riveste per l’allevamento bovino e per la salute pubblica, unite alla sua complessità epidemiologica, richiedono il primario e responsabile coinvolgimento dell’allevatore e del veterinario aziendale per un approccio efficace alla gestione del problema.
di Mattia Olivari, tecnico bovini da latte, Bergamo; Danilo Longhi, medico veterinario libero professionista, Bergamo; Pierluigi Oldoni, allevatore, Bergamo; Letizia Magoni e Michael Oulton, Springfield Farm, Ambergate Belper (UK)