Giallo come il latte

Claudia Masera nel caseificio della Cascina Roseleto

Gestione mandria

Giallo come il latte

È la tonalità dominante del latte munto dalle vacche “grass fed” della Cascina Roseleto. Una realtà della pianura torinese decisamente sui generis, dove il ritorno al prato è vissuto con rigore scientifico e trova senso economico nella chiusura della filiera

 

Lo abbiamo sempre sostenuto: nel settore dell’allevamento della vacca da latte non esistono “formule magiche”, modelli replicabili ovunque e che diano ovunque gli stessi risultati. Ogni allevatore è dunque chiamato a cercare la propria strada, in base alle proprie aspirazioni e al proprio contesto territoriale.
È quello che hanno fatto i fratelli Claudia e Angelo Masera di Villastellone (To) dopo aver preso in mani le redini dell’azienda agricola di famiglia. “Fino agli anni ’90 – premette infatti Claudia, non appena ci accoglie all’interno dei locali della “Cascina Roseleto” – mio papà e mio fratello allevavano le vacche all’interno della struttura a stabulazione libera edificata nel 1985 a fianco della cascina, le alimentavano con l’unifeed e conferivano il prodotto a una latteria. Poi sono subentrata io e nel 2009 abbiamo aperto qui in paese la gelateria, che si appoggia tuttora al nostro laboratorio interno. È stato in questo modo che abbiamo realizzato per la prima volta come nutrendo i nostri animali a fieno e mangime, senza unifeed e in particolare senza insilati, il sapore del latte e quindi anche del gelato cambi decisamente. Ma la svolta è stata nel 2013, quando abbiamo conosciuto il professor Andrea Cavallero dell’Università di Torino”.

 

crbros.jpg

Claudia porta avanti l’azienda di famiglia insieme al fratello Angelo (nella foto) e con l’aiuto del marito Carlo

 

Erba e fieno

Fu proprio “l’uomo che sussurrava ai prati” del Dipartimento di Scienze agrarie del capoluogo piemontese che infatti consigliò ai Masera di alimentare la loro mandria di Frisone ad erba e fieno. “Una bella sfida – continua Claudia – anche perché all’epoca non avevamo nemmeno un metro quadrato di prato. Ma si può fare, mi sono detta. Ed è stato così che nel 2013 abbiamo arato tutto, letamato tutto, e abbiamo riseminato i terreni di proprietà aziendale (22 ettari) con diversi miscugli di erbe suggerite dal professor Cavallero. E non appena i prati sono stati all’altezza, abbiamo portato il bestiame al pascolo. Ricordo che i primi giorni le vacche non volevano saperne, forse perché associavano l’idea di uscire dalla stalla al salire su un camion a destinazione ignota. Ma poi si sono abituate, eccome!”.

 

crmap.jpg

I prati polifiti (certificati bio) della Cascina Roseleto sono suddivisi in appezzamenti, a ciascuno dei quali è stato assegnato un nome. Sullo scalzo del formaggio viene segnato il nome del “cru” da cui proviene il latte utilizzato nel processo di caseificazione

 

Tanto è vero che attualmente, se il meteo è favorevole, la routine delle mezze stagioni (primavera e autunno) è la seguente: alle 7 inizia la prima mungitura, alle 10 le vacche in lattazione (32-34 in tutto) escono dalla stalla, seguite a fatica dalle due vegliarde ultraventenni del gruppo, e raggiungono il prato che a turno viene messo a loro disposizione. Alle 17 iniziano le operazioni di rientro in stalla per il consumo di un po’ di mangime integrato, ma soprattutto per la mungitura pomeridiana. Poi tutte a nanna nel grande box a lettiera.

 

crvia.jpg

Sono le 10 di mattina e le vacche si trasferiscono in uno dei prati intorno alla cascina, dove pascoleranno fino alla mungitura pomeridiana

 

L’estate è invece la stagione delle pascolate notturne (“per ora qui non abbiamo il problema dei lupi, per cui è sempre filato tutto liscio”), ma non appena il clima diventa più fresco ritorna l’orario delle mezze stagioni. “Con i cambiamenti climatici in corso – sottolinea la nostra interlocutrice – la stagione del pascolo è sempre più lunga, tanto è vero che l’anno scorso abbiamo tirato avanti fino al giorno di Santa Caterina, che cade il 25 novembre. Poi in inverno sospendiamo il regime di verde per lasciare le vacche in stalla e usare esclusivamente il fieno”.

 

crstalla.jpg

La stalla è stata edificata negli anni ’80 dal papà di Claudia e Angelo

 

Cultura del pascolo

Ma attenzione, perché tutto questo sia possibile ci vuole tecnica, o per dirla con Claudia, occorre rifarsi una “cultura del pascolo”. “Ad esempio, è stato il professor Cavallero – sottolinea – a trasmetterci il concetto delle pascolate primaverili veloci, leggere, che consistono nel lasciare le bovine su un prato quel tanto che basta affinchè esse ingeriscano soltanto le infiorescenze presenti. In questo modo l’erba ricaccia producendo tanta foglia, e a quel punto puoi decidere se è il caso di tornare a pascolare su quell’appezzamento o se è preferibile farci del fieno. Il pascolo va gestito, bisogna ragionare su come sfruttarlo esattamente come si fa in caseificio con il latte".

 

crpasc.jpg

“Alimentando le vacche con erba e fieno, il sapore e il colore del latte muta con le stagioni. Ma il consumatore ci si deve ancora abituare”

 

"E soprattutto - continua Claudia - il pascolo va sempre accudito: devi concimarlo, irrigarlo quando è tempo e anche a pioggia se è il caso, e infine tagliarlo quando è tempo, in modo tale che le diverse essenze non producano il seme. E questo vale sia per le specie botaniche indesiderate, sia per quelle che invece vuoi far crescere, perché facendo il seme diventerebbero vecchie da mangiare. Ma se il pascolo è ben gestito diventa eterno, e il terreno incredibilmente ricco. A quest’ultimo proposito, le racconto questo: noi non ariamo più i nostri terreni, ma l’anno scorso abbiamo arato un appezzamento di circa mezzo ettaro per seminare una graminacea resistente alla siccità, il Bromus catharticus. E arando, abbiamo trovato la terra piena di lombrichi”.

 

Trasformazione in azienda

Ma tornando a quel fatidico 2013, “abbiamo appurato – continua Claudia – come alimentando le vacche ad erba e fieno, il latte prenda un sapore diverso, che muta con le stagioni. E lo stesso vale anche per il colore, ad esempio, del burro. Ma il consumatore, abituato ai prodotti standardizzati che trova al supermercato, ci si deve ancora abituare”.

 

crlatte.jpg

Nei punti vendita aziendali il latte pastorizzato di alta qualità viene venduto al consumatore al prezzo di 2,20 euro al litro

 

E a proposito di latte, latticini e formaggi, entriamo nel laboratorio dove giunge (via lattodotto, direttamente dalla sala di mungitura) il latte di casa. Ecco, in una sala, il pastorizzatore, la polivalente e l’imbottigliatrice, e poi, nel locale attiguo, le macchine per la preparazione di yogurt e gelati. Infine, le due celle frigo per i formaggi aziendali. “La nostra produzione spazia dal latte fresco pastorizzato in bottiglia (latte fieno Sgt: ndA), fino a burro, panna, yogurt e kefir, e dai gelati fino ai formaggi a latte pastorizzato come freschi, robiole, tome, un cremoso spalmabile. Fanno eccezione due stagionati a latte crudo, che abbiamo messo in produzione a partire dal 2021. Sa, come casara mi ritengo ancora un’apprendista…”.

 

crpast.jpg

L'imbottigliatrice per il latte pastorizzato

 

Il tutto viene destinato alle due gelaterie aziendali (di Villastellone e Torino), nonchè a una quarantina di piccoli negozi di generi alimentari di Torino e, per quanto riguarda le bottiglie di latte fresco pastorizzato, al punto vendita Eataly del Lingotto. “Nelle nostre gelaterie – osserva ancora Claudia – il nostro latte viene venduto a 2 euro e 20 centesimi al litro, a fronte di un costo di produzione che secondo mio marito Carlo, che ci aiuta sul fronte amministrativo, è pari a 1 euro al litro (si consideri che la produzione media giornaliera è di 15-18 litri per vacca: nda). Certo, il margine c’è, ma tra Covid, siccità, crisi energetica e inflazione, le difficoltà non sono mancate. Adesso siamo in crescita, ma non è tutto grasso che cola: questo mestiere è come correre una maratona, occorre starci dietro tutti i giorni, e poi è sempre bene cercare di reinvestire gli utili nell’azienda, come ci ha insegnato Einaudi”.

 

crmanze.jpg

Per rendere più rustiche le bovine di casa, le Frisone vengono fecondate con seme di tori Jersey, Montbéliarde, Guernsey e Bruna Originale

 

Incroci di sostituzione

Prima di congedarci, assistiamo allo spettacolo delle vacche in latte che dalla stalla corrono verso il prato eletto a loro pascolo di giornata, e ne approfittiamo per recarci in stalla per un rapido sguardo a manze e asciutte. Negli animali più giovani il mantello pezzato nero sta lasciando il passo ad altre tonalità. “La Frisona – commenta Claudia – è la Ferrari della produzione, ma richiede un’alimentazione particolarmente ricca ed è delicata di piedi. Motivo per cui, piuttosto che riformare l’intera mandria e rimpiazzarla con animali di razze più rustiche e adatte al pascolo, per il rispetto che nutriamo nei confronti di questi animali abbiamo preferito praticare l’incrocio di sostituzione. Ecco perché stiamo fecondando le nostre vacche con seme di tori Jersey, Montbéliarde, Guernsey e Bruna Originale”. È giusto così: ogni badile ha il suo manico, dice il detto.

 

croasi.jpg

La Cascina Roseleto fa anche attività di Fattoria Didattica. Nella foto, l’area umida che fa da albergo a un’ampia varietà di specie botaniche e di animali