Tecniche riproduttive, insieme rendono meglio

Pierluigi Guarneri e Ana Sanchez del gruppo Embryovet impegnati in un intervento di OPU (ovum pick up)

Gestione mandria

Tecniche riproduttive, insieme rendono meglio

Ecco i passaggi più interessanti della video-relazione che il veterinario brasiliano Eduardo Benedetti ha presentato al convegno annuale della Siet (Società italiana di embryotransfer)

Ammettiamolo, l’OPU-IVF (ovum pick up e in vitro fertilization) è una bomba, se non altro metaforicamente. Una tecnica che quando ha successo e porta alla nascita del vitello – cosa che oggi si verifica molto più spesso che un tempo – accelera in modo significativo il progresso genetico. Il fatto di poter prelevare gli oociti di una manza, anche impubere, e di fecondarli in vitro, magari con il seme di un altrettanto giovane torello genomico, riduce quello che i genetisti chiamano intervallo generazionale, e offre agli allevatori la concreta opportunità di cogliere in tempi record i frutti del processo selettivo e del miglioramento genetico. Senza dimenticare, poi, la possibilità di “recuperare” come riproduttrici, ovvero usare come donatrici, anche bovine anziane o animali gravidi fino al quarto mese di gravidanza.
Certo, l’OPU-IVF applicato alla specie bovina (Bos taurus) non dà sempre risultati straordinari: secondo l’associazione statunitense Aeta in un intervento di OPU si raccolgono mediamente 16 oociti, da cui si sviluppano, sempre in media, 3,3 embrioni vivi. In altri ruminanti come lo zebù (Bos indicus), nei cui ovai si sviluppano naturalmente numerosi follicoli, si riesce a fare di meglio. È partito di qui, l’italo-brasiliano Eduardo Benedetti, nella sua video-relazione pubblicata on line sul sito della Siet (Società italiana di embryotransfer) in occasione del tradizionale convegno annuale dell’associazione.
 

Risultati migliori

Ai suoi colleghi italiani, Benedetti ha subito specificato come negli ultimi 10 anni, il successo degli impianti di embrioni bovini sviluppati in vitro sia sensibilmente migliorato: l’80-90% degli oociti prelevati maturano e l’80% viene sottoposto a fecondazione. Il collo di bottiglia, semmai, è subito dopo: “solo” dal 30-40% degli oociti fecondati si sviluppano embrioni vivi (blastocisti) e il loro impianto, infine, ha successo nel 50% circa dei casi, senza sostanziali differenze tra riceventi manze o vacche (tabella 1). Da considerare ormai superati, infine, i problemi di macrosomia che un tempo potevano riguardare i feti sviluppati da embrioni fecondati in vitro.

embryotransfer, ovum pick up, fertilizzazione in vitro, Eduardo Benedetti, Siet

Ma come migliorare ulteriormente queste performance? Su questo punto Benedetti ha prospettato diverse soluzioni, a partire da quella a suo dire fondamentale: la sincronizzazione e la superovulazione delle donatrici degli ovuli. L’applicazione di specifici protocolli ormonali ha infatti dimostrato, sia nelle razze da latte che in quelle da carne, di aumentare la presenza di oociti di buona qualità e il numero di embrioni vivi ottenuti per intervento di OPU.
Tra le altre strade percorribili, ha suggerito l’esperto brasiliano, c’è naturalmente anche il miglioramento delle condizioni di salute e di benessere (ad esempio termico) delle donatrici, e l’applicazione di adeguati protocolli di OPU-IVF da parte dei buiatri. Non solo: qualora si voglia usare come donatrici dei capi adulti di buon valore genetico, è preferibile intervenire in fase di asciutta piuttosto che su capi a inizio lattazione; è stato infatti dimostrato - ha ricordato Benedetti - che quanto più ci si allontana dal post-parto, con le sue problematiche di ordine metabolico e immunitario, tanto più migliora la qualità degli oociti, che risultano anche più fecondabili e da cui più facilmente possono svilupparsi embrioni vitali.

embryotransfer, ovum pick up, fertilizzazione in vitro, Eduardo Benedetti, Siet
Ovuli di buona qualità prelevati da bovina adulta

embryotransfer, ovum pick up, fertilizzazione in vitro, Eduardo Benedetti, Siet
Embrioni bovini (foto di Ana Sanchez, Embryovet)
 

Laboratorio interno

Ma veniamo alla parte forse più interessante della relazione tenuta da Benedetti, quella riferita alla sua attuale esperienza presso l’Arizona Dairy Company di Mesa (Usa). Una big farm da 14mila capi (7.000 vacche adulte) in cui tutti i vitelli vengono sistematicamente genotipizzati e in cui opera un laboratorio interno di OPU-IVF, alla guida dello stesso Benedetti e della collega Daniela Demetrio, altra italo-brasiliana famosa per la sua notevole esperienza nelle tecniche riproduttive applicate alla specie bovina. Gli obiettivi aziendali? Primo, arrivare a destinare alla fecondazione artificiale il top 10% delle manze, da sfruttare anche come donatrici di ovuli; secondo, utilizzare il rimanente 90% di manze e il 100% delle vacche come riceventi di embrioni.
Nel laboratorio aziendale, entrato a regime a partire dal 2020, l’attività ferve: vengono infatti eseguiti, in netta prevalenza su donatrici manze (95% dei casi), 15-20 interventi di Opu per 2 volte a settimana, e ogni settimana vengono impiantati 70-100 embrioni prodotti in vitro a partire da seme di torelli genomici; le riceventi sono equamente ripartite tra manze al primo servizio (50%) e primipare al primo servizio post-parto (50%).

embryotransfer, ovum pick up, fertilizzazione in vitro, Eduardo Benedetti, Siet
All’Arizona Dairy Company ci sarà spazio anche per il flushing delle migliori vacche, i cui embrioni verranno congelati e trasferiti nelle riceventi durante il periodo estivo
 

La via dell’integrazione

Purtroppo il caldo record registrato la scorsa estate in Arizona, ha continuato Benedetti, ha impattato negativamente sui risultati: lo stress termico sofferto dalle manze donatrici, ma anche dalle manze riceventi, ha aumentato le difficoltà già insite in una tecnica di per se molto ambiziosa, che si prefigge lo scopo di fecondare oociti di bovine giovani con il seme di maschi altrettanto giovani. Nonostante tali difficoltà, i risultati finora ottenuti all’Arizona Dairy Company sono stati comunque buoni, con il conseguimento di 3 embrioni vivi per OPU e un 38% di embrioni prodotti in vitro che hanno attecchito, esitando in gravidanze. L’obiettivo, ha affermato il relatore, è arrivare a un invidiabile 45%, ma in che modo? Applicando una serie di soluzioni alternative, ispirate all’integrazione tra le diverse tecniche riproduttive: questo inverno all’Arizona Dairy Company ci sarà spazio per la produzione di embrioni in vitro, da congelare e impiantare sulle riceventi nella prossima estate; come donatrici di ovuli verranno impiegate anche le migliori vacche in asciutta viste le migliori percentuali di attecchimento centrate dai loro embrioni prodotti in vitro; ci sarà infine spazio anche per il flushing delle migliori vacche, i cui embrioni verranno congelati e trasferiti nelle riceventi durante il periodo estivo. Dunque una strategia pragmatica, che ha riscosso l’interesse dei buiatri italiani: “L’idea di integrare le diverse tecniche riproduttive – commenta Davide Bolognini, presidente della Società italiana di embryotransfer – è applicabile anche alla realtà italiana, che già oggi appare fortemente determinata a sfruttare al meglio il miglioramento genetico. Nelle nostre stalle, ricorrendo a un mix di F.A., flushing e Opu, potremmo conseguire risultati veramente importanti sul fronte del progresso genetico”. “Senza dimenticare – aggiunge Pierluigi Guarneri, direttore sanitario del gruppo Embryovet e tesoriere della Siet – che anche qui da noi, in estate, il clima mette in serie difficoltà le bovine, le quali solitamente presentano migliori performance di concepimento con gli embrioni che con il seme”. A buon intenditor… 

embryotransfer, ovum pick up, fertilizzazione in vitro, Eduardo Benedetti, Siet
Il presidente della Siet, Davide Bolognini, impegnato in un flushing su vacca di razza Romagnola dell’allevamento Cenni di Riolo Terme (Ra)