Agricoltura rigenerativa: tutto parte dal suolo

Attualità

Agricoltura rigenerativa: tutto parte dal suolo

È stata teorizzata negli anni ’80, ma se ne parla da soltanto un decennio. Ora però il tempo stringe …

 

Il termine è stato coniato negli anni ’80 da Robert Rodale che voleva contraddistinguere un tipo di agricoltura che andasse oltre la sostenibilità, un sistema di agricoltura che “non mantiene solo le risorse, ma le migliora”. È proprio dal lavoro di scienziati e agricoltori di quegli anni che inizia a emergere il concetto di riduzione degli input e si inizia a tracciare una strada verso la prospettiva di recuperare e migliorare la qualità del suolo per costruire un futuro migliore per l’agricoltura e per il pianeta. La priorità numero uno nell’agricoltura rigenerativa è la salute del suolo che è intrinsecamente legata alla salute complessiva del nostro sistema alimentare.
La salute del suolo influisce su tutto, dalla salute delle piante al benessere umano e al futuro del nostro pianeta. L’idea è quella di creare sistemi agricoli che lavorino in armonia con la natura per migliorare la qualità della vita di ogni creatura coinvolta basandosi su tre pilastri: salute del suolo, degli animali ed equità sociale.

 

Obiettivo raggiungibile?

La sensazione è quella di trovarsi davanti a un modello ideale che non può adattarsi alle nostre realtà produttive, un ritorno al passato che butterebbe le aziende fuori dal mercato. Infatti, nonostante si riscontri un crescente interesse per l’agricoltura rigenerativa nell’ultimo decennio da parte di agricoltori, scienziati, industria alimentare e persino delle politiche dei governi, l’azione sul campo è rimasta molto limitata, particolarmente legata a realtà che vediamo molto lontane dal punto di vista geografico o dal punto di vista del sistema agricolo. Eppure, in Europa e nei sistemi agricoli più avanzati, è proprio l’industria che si sta organizzando per fare in modo che le materie prime (latte e produzioni agricole) arrivino da sistemi produttivi sempre più vicini ai principi dell’agricoltura rigenerativa, non certo per tagliare fuori i centri agricoli più industrializzati.

 

agricrig1.png

Chi pensa che l’agricoltura rigenerativa sia un ritorno ad un passato lontano sbaglia, perché l’approccio è sì rispettoso della natura e della biodiversità, ma con un approccio moderno

 

Certificazioni disponibili

Non è un caso che il Rodale Institute abbia introdotto nel 2018 il sistema di certificazione Regenerative Organic Certified™ supervisionato dalla Regenerative Organic Alliance, un’organizzazione no-profit composta da esperti in agricoltura, allevamento, salute del suolo, benessere degli animali ed equità di agricoltori e lavoratori. Il sistema, malgrado il nome, non impone standard biologici e già nel 2022 aveva certificato 91 aziende agricole, 33.151 piccoli agricoltori e oltre 96mila ettari di terreno, con 151 tipi di colture in 4 Continenti diversi.

Un altro esempio che coinvolge anche gli allevamenti europei è quello proposto da SAI platform (www.saiplatform.org), l’organizzazione che da 20 anni si occupa di promuovere la sostenibilità in agricoltura e che recentemente ha sviluppato un interessante percorso per la diffusione dell’agricoltura rigenerativa, anche negli allevamenti. Lo scopo non è obbligare gli allevatori a rientrare in stretti standard di certificazione, ma accompagnarli lungo un percorso di miglioramento, perché l’agricoltura rigenerativa è considerata una soluzione a lungo termine per ottenere un impatto positivo sull’ambiente.

Dove sta la differenza? Perché questo approccio non deve spaventare? Nasce dalla collaborazione di tutte le parti interessate e non è mai stata trascurata la redditività dei produttori primari. Infatti, SAI platform definisce l’agricoltura rigenerativa come: “un sistema agricolo che protegge e migliora la salute del suolo, la biodiversità, il clima e le risorse idriche, sostenendo allo stesso tempo lo sviluppo delle imprese agricole gestito con un approccio orientato agli obiettivi che si vogliono raggiungere”.

 

agricrig2.png

In molte parti del mondo la zootecnia non è mai entrata in un’ottica superintensiva, ma occorre lo stesso una visione conservativa delle risorse disponibili e una gestione del territorio attenta al tema delle emissioni in atmosfera

 

Approccio graduale

Una definizione basata sugli obiettivi consente flessibilità e specificità degli interventi relativamente alla realtà di ogni singola azienda, nella profonda consapevolezza che non tutti partono dallo stesso punto del percorso, alcune aziende hanno situazioni già fortemente orientate all’agricoltura rigenerativa, altre sono più lontane, le priorità sono diverse e ognuno può scegliere da dove iniziare. Inoltre, la definizione sottolinea la redditività degli agricoltori e la resa dei raccolti come criteri decisionali fondamentali nello sviluppo di piani di transizione verso l’agricoltura rigenerativa e riconosce che comunità agricole e forza lavoro fiorenti sono fondamentali per sostenere i risultati rigenerativi. È proprio in questo contesto che colossi come la Danone hanno abbracciato questi principi e stanno guidando la transizione di oltre 50mila aziende e partner nel mondo e anche in Europa nella convinzione che l’agricoltura rigenerativa sia un sistema di principi e pratiche agricole che oltre a dare benefici ambientali, rafforza e incoraggia le future generazioni di agricoltori e crea condizioni di lavoro dignitose rendendo il settore più attraente. Sostenere lo sviluppo agricolo è anche uno degli strumenti più potenti per porre fine alla povertà estrema, promuovere la prosperità condivisa, rispettare i diritti umani e raggiungere gli obiettivi di sviluppo mondiale.

 

AgricRigTabella 1.png

 

Gli effetti sulla Pac

Anche la Comunità Europea ha guardato ai principi dell’agricoltura rigenerativa per definire le nuove politiche della Pac e ha puntato in particolare alle pratiche di protezione del suolo, della biodiversità, delle zone umide e non coltivate.
Nell’ambito degli interventi a sostegno della diffusione delle pratiche di agricoltura rigenerativa, la Comunità Europea ha messo a disposizione degli operatori agricoli una piattaforma nell’ambito di EIT Food (https://www.eitfood.eu/projects/regenag-revolution) dedicata alla spiegazione dei concetti e dell’utilizzo delle pratiche alla base dell’agricoltura rigenerativa, con l’obiettivo di far lavorare gli scienziati con gli agricoltori, al fine di contribuire ad ampliare le conoscenze scientifiche che saranno alla base delle buone pratiche da adottare e sviluppare una base solida a sostegno della transizione verso l’agricoltura rigenerativa. L’obiettivo è diffondere la conoscenza e i risultati del progetto per costruire una comunità europea di agricoltura rigenerativa.
Attraverso i programmi regionali, gli agricoltori imparano come passare dall’agricoltura convenzionale a quella rigenerativa, migliorare la salute del suolo, promuovere la biodiversità, produrre raccolti più nutrienti e, infine, rendere le loro aziende agricole più competitive nel lungo periodo.
EIT Food ritiene inoltre che una transizione di successo verso un’agricoltura rigenerativa dipenda da tutte le parti coinvolte nella rete di approvvigionamento alimentare, per questo organizza spazi di confronto in cui è possibile acquisire maggiori conoscenze sull’agricoltura rigenerativa, condividere le esperienze proprie e degli altri per valutare concretamente cosa significhi una transizione verso un’azienda agricola sostenibile.
Un’importante attività di EIT Food è quella di raggiungere i consumatori europei per aiutarli a comprendere e apprezzare cosa stanno facendo gli agricoltori e allevatori rigenerativi e come ciò apporta benefici all’ambiente e alla nostra salute, creando quel ponte che spesso manca tra le azioni concrete di miglioramento degli operatori agricoli e i consumatori, per correggere la narrazione spesso distorta dell’impatto degli allevamenti sull’ambiente.

 

Numeri da incubo

Perché agire per apportare beneficio all’ambiente è diventato davvero urgente? L’agricoltura e l’allevamento sono talmente legati all’ambiente che se è vero che da una parte ne sfruttano le risorse, dall’altra non possono sopravvivere in un ambiente degradato.
Il settore agricolo è quello che subisce i maggiori danni dai cambiamenti climatici, lo abbiamo visto in questi ultimi anni. Le previsioni fatte dall’European Environment Agency (EEA) rispetto alle variazioni di temperatura e precipitazioni (figure 1 e 2) devono farci riflettere.

 

PrevisioneTemperatureMedie.png

Figura 1 - Variazioni previste in °C della temperatura dell’aria in prossimità della superficie (annuale – sinistra; estiva – centro; invernale - destra) nel periodo 2071-2100 rispetto al periodo di riferimento 1971-2000 per gli scenari RCP4.5 (in alto, scenario con concentrazioni GHG intermedie) e RCP8.51 (in basso, scenario con concentrazioni GHG elevate). Fonte: Agenzia europea dell’ambiente (EEA). https://www.eea.europa.eu/data-and-maps/figures/projected-changes-in-annual-summer-

 

PrevisionePrecipitazioni.png

Figura 2 - Variazioni previste delle precipitazioni in % (annuali – sinistra; estive - destra) nel periodo 2071-2100 rispetto al periodo di riferimento 1971-2000 per lo scenario RCP8.5. Fonte: Agenzia europea dell’ambiente (EEA) - www.eea.europa.eu/data-and-maps/figures/projected-changes-in-annual-and-5


In Italia si prevede un aumento di temperatura che varia da 2° a 5° se si considera lo scenario migliore o peggiore relativamente al livello di concentrazione dei gas serra in atmosfera da qui al 2070. Anche per le precipitazioni si prevede una riduzione in estate tra il 10 e il 20% nella zona della pianura padana, per arrivare anche al 40% sulla parte tirrenica e in Italia meridionale.
Le conseguenze sull’agricoltura di questi scenari non hanno bisogno di essere descritti, volenti o nolenti si dovrà ripensare al modo di coltivare e allevare. La previsione che la Comunità europea ha fatto sulla variazione delle rese agricole in uno scenario di alti livelli di emissioni da qui al 2080 mostrano una riduzione compresa tra il 10 e il 15% in tutta la zona padana e del centro Italia.
La conseguenza più preoccupante è legata al degrado della struttura del suolo e all’erosione che, si prevede, colpirà circa il 7,2% del totale del terreno agricolo, tutto concentrato nel sud dell’Europa, mentre i Paesi del Nord Europa si avvantaggeranno di un clima più mite.
Il cerchio si chiude, tutto parte dal suolo e dalla sua rigenerazione. Qualsiasi sarà lo scenario che ci troveremo davanti, dobbiamo iniziare ad agire ora per non trovarci impreparati. Ripensare al modo di coltivare e allevare è la migliore soluzione per contribuire ad evitare che il peggiore degli scenari si realizzi e la concreta opportunità di attutirne eventualmente l’impatto. La rigenerazione del suolo, d’altra parte, non può che essere portata avanti dagli agricoltori. 

di Alessia Tondo