Pratiche sleali, la legge c’è ma è troppo vaga

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Pratiche sleali, la legge c’è ma è troppo vaga

La protesta dei trattori ha nuovamente puntato i riflettori sul tema della distribuzione del valore lungo la filiera agroalimentare. A questo proposito ecco l’articolo dell’economista Ermanno Comegna, che abbiamo pubblicato sul numero di gennaio di "Allevatori Top"

 

La legge nazionale per il contrasto delle pratiche sleali, introdotta in Italia per recepire una specifica direttiva europea, rappresenta sicuramente uno strumento utile e necessario per favorire un maggior equilibrio nel potere contrattuale all’interno della filiera alimentare, rafforzando così la posizione degli agricoltori, di norma costretti a recitare il ruolo di anello debole rispetto ai propri clienti. La prima relazione sulle attività di contrasto alle pratiche sleali portata avanti dall’autorità competente nazionale (l’Icqrf) relativa all’anno 2022 dimostra che i controlli ci sono ed hanno fatto emergere alcune irregolarità, sulle quali sono stati condotti ulteriori approfondimenti per verificare l’effettiva condotta anomala e la conseguente necessità di applicare le sanzioni a carico degli inadempienti.

 

Il caso Lactalis

Durante l’estate del 2023 c’è stata l’iniziativa di Coldiretti Nazionale, che ha presentato denuncia, contestando il comportamento assunto da Lactalis, il principale primo acquirente attivo in Italia. Il rilievo sollevato riguarda la supposta modifica unilaterale del contratto in corso con gli allevatori conferenti, attraverso la riduzione del prezzo riconosciuto e l’aggiustamento del meccanismo di indicizzazione. Entrambe tali operazioni sarebbero state attuate, secondo la denuncia e sulla quale le autorità devono pronunciarsi, senza la preventiva consultazione con le parti interessate.
Questo episodio, aldilà di come finirà la causa, rappresenta chiaramente un segnale che il pacchetto legislativo introdotto nel 2021 gioca un ruolo attivo nel regolare le relazioni commerciali nell’ambito del sistema produttivo lattiero-caseario italiano e può essere impiegato come una leva per migliorare il funzionamento del mercato e rimuovere gli ostacoli che impediscono una relazione tra pari degli allevatori con i primi acquirenti.

 

Percorso ad ostacoli

Detto questo, però, si deve riconoscere che il cammino è lungo e non ci sono ancora segnali solidi di un cambio di passo, verso relazioni commerciali basate su approcci moderni, equi, trasparenti e capaci di cogliere le dinamiche del mercato e fornire delle risposte concrete. Il mondo agricolo si deve a questo punto interrogare su cosa effettivamente manchi per chiudere la transizione e come sia possibile superare l’ormai strutturale debolezza in termini di rappresentanza collettiva del settore.
Sotto tale profilo non si deve dimenticare che in Italia opera una forte componente della cooperazione lattiero-casearia che però non è coadiuvata da una rete di organizzazioni di produttori diffusa sul territorio e con riconosciute capacità operative.

 

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Il decreto legislativo 198/2021 vieta “l’imposizione di condizioni contrattuali eccessivamente gravose per i venditori, ivi compresa quella di vendere prodotti agricoli e alimentari al di sotto dei costi di produzione"

 

Interprofessione debole

La prima operazione è, pertanto, quella di migliorare la rappresentanza economica dei produttori di latte, i quali finora sono stati tutelati dai sindacati agricoli a vocazione generale, i quali manifestano un limite ormai a tutti evidente, e cioè la scarsa propensione a collaborare tra loro per esercitare il più che sensibile ruolo di controparte unitaria dell’industria.
A tale proposito esiste una consolidata legislazione europea, con regole per il riconoscimento delle organizzazioni produttori, delle loro associazioni e degli organismi interprofessionali (articoli da 152 a 165 del regolamento 1308/2013) e con disposizioni specifiche per le trattative contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari (articolo 149 dello stesso regolamento).
Un secondo passo da compiere è la piena attuazione del decreto legislativo 8 novembre 2021 n. 198 in materia di pratiche commerciali sleali, con particolare riferimento a quanto previsto all’articolo 5 che vieta “l’imposizione di condizioni contrattuali eccessivamente gravose per i venditori, ivi compresa quella di vendere prodotti agricoli e alimentari al di sotto dei costi di produzione”. Tale norma è stata accolta con favore dal mondo agricolo che più volte in questi primi due anni di applicazione l’ha invocata, non solo nel settore del latte bovino, ma in altri segmenti produttivi, come ad esempio l’olio di oliva e la produzione di frumento tenero e duro. In realtà quanto contenuto nella legge italiana è talmente generico da non consentire un’applicazione rigorosa e, d’altra parte, l’amministrazione non si è ancora del tutto attrezzata per mettere a disposizione i dati oggettivi necessari a valutare l’effettiva esistenza di una condizione di vendita sottocosto del produttore agricolo.
Con la lunga fase di aumento del prezzo del latte crudo alla stalla che si è verificata in Europa e in Italia, a partire dalla fine del 2021, la questione dei costi minimi di produzione non è stata oggetto di attenzione, anche perché i margini di contribuzione per gli allevatori sono risultati in questo periodo al di sopra dei valori storici. La situazione però potrebbe cambiare per effetto della correzione dei prezzi che è già in corso da qualche tempo. Dopo il massimo di dicembre 2022, ci sono stati nove mesi consecutivi di ritocchi verso il basso, con la media del prezzo del latte nell’Unione europea che è passata da 58,25 a 43,45 euro per quintale. A ciò si aggiunge l’inerzia con la quale i costi di produzione tendono a tornare verso i valori ordinari registrati fino all’inizio del 2020, dopo l’impennata post pandemia da Covid.
Seppure sia difficile fare delle previsioni, non si deve del tutto escludere la possibilità che le condizioni peggiorino ulteriormente e si arrivi ad un punto nel quale i prezzi spuntati dagli allevatori non coprano i costi di produzione, come è stato di recente denunciato da alcune organizzazioni di allevatori europee come l’Emb. In definitiva, è opportuno anticipare i tempi e promuovere una campagna di sensibilizzazione rivolta verso le istituzioni nazionali e regionali, per chiedere regole chiare e procedure operative certe, finalizzate alla corretta applicazione del divieto della pratica commerciale sleale sui costi di produzione degli agricoltori.

 

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Il consumatore viene chiamato in causa quando si tratta di tenere calmierato il prezzo di alcune referenze, a discapito del prezzo di acquisto delle materie prime

 

L’esempio francese

Da ultimo, è opportuna una valutazione complessiva per misurare l’efficacia della legge nazionale sulle pratiche sleali e prevedere correttivi ed aggiustamenti, così come è stato fatto in Francia con la cosiddetta “legge Egalim” del 2021, successivamente integrata ed adattata. Una normativa che ha preso in considerazione non solo le relazioni tra agricoltori e primi acquirenti, ma anche quelle tra questi ultimi e la grande distribuzione.
La legislazione francese si pone l’obiettivo di remunerare meglio i produttori agricoli, prevedendo anche delle formule di determinazione dinamica del prezzo che tengono conto di un indicatore relativo ai costi produzione.
Nello stesso tempo essa interviene sul quadro normativo che regola i rapporti tra industria e distribuzione, prevedendo ad esempio la clausola di non negoziabilità del prezzo della materia prima agricola. In pratica, il distributore non ha la possibilità di negoziare con il proprio fornitore la parte del prezzo che si riferisce al prodotto agricolo primario.
Non è stato semplice per la Francia tenere conto di tutte le dinamiche che si stabiliscono nella filiera e la discussione è ancora aperta. Tuttavia bisogna dare atto della capacità di affrontare la materia con una visione complessiva delle problematiche e con la volontà di trovare un equilibrio solido sul quale basare il funzionamento dei sistemi produttivi agro-alimentari.

Ermanno Comegna