Giornata del mais: sarà un 2023 impegnativo

Il mais resta un capitolo sempre più doloroso per l'agricoltura nazionale

Attualità

Giornata del mais: sarà un 2023 impegnativo

Ecco gli argomenti che sono stati al centro del tradizionale appuntamento organizzato dal Crea - Cerealicoltura e Colture Industriali per parlare del futuro incerto del mercato italiano del mais

Come recentemente affermato da Nicola Pecchioni, direttore del Crea - Cerealicoltura e Colture Industriali, il mais rappresenta una delle colture che maggiormente risente degli effetti del cambiamento climatico, in particolare nei periodi di siccità o di carenza di acqua a causa del costo elevato di quest’ultima. Ecco perché, pensando al futuro, lo sviluppo di colture maidicole in Italia sarà sempre più legato alle caratteristiche climatiche e quelle del terreno, ma anche alla disponibilità di risorsa idrica dei diversi territori. 

Se ne è parlato alla Giornata del Mais, quest'anno ospitata a  Bergamo e che ha visto protagonisti ricercatori e i docenti esperti del settore, con un focus particolar focalizzerà sull’impatto della nuova Pac sulla coltivazione del mais  e sui temi legati alla sua sostenibilità economica. Senza dimenticare i risultati relativi al confronto varietale, vero elemento clou dell'incontro.

Per quanto riguarda il tema Pac (fondamentale per la redditività della coltura) si apre il nuovo quinquennio  2023-2017, che prevede la presenza di nuove regole,  impegni aggiuntivi e pagamenti in contrazione (per il mais un taglio del 40% dei pagamenti diretti della nuova Politica agricola comune: l’importo del contributo si  dimezzerà dagli attuali 360 €/ha a 180 €/ha, arrivando a 255 €/ha solo nel caso in cui si aderisca all’ecoschema 4). Staremo a vedere quali saranno le conseguenze per gli agricoltori e per i consumatori.

 

2022, una campagna da dimenticare


La produzione italiana ha registrato nell’annata del 2022 appena 4,7 milioni di tonnellate di mais da granella, ovvero alla stessa produzione del 1972, con consistenti problemi di qualità del prodotto stesso. In base ai primi dati Istat, infatti, i rendimenti unitari sono crollati mediamente del 23%, scendendo da 10,3 t/ha a 8,3 t/ha, ma erano stati pari a 112 t/ha nel 2020, con cali di resa fino al -32% in Veneto e al -25% in Lombardia, tra le maggiori regioni maidicole, e punte del -43% a Rovigo e del -46% a Perugia. Risultato, quest’ultimo, di un calo delle superfici coltivate, scese al minimo storico di 564 mila ettari, e il pessimo andamento climatico dell’annata, caratterizzato da una siccità estiva senza precedenti.
 

L’andamento negativo ha coinvolto tutti i maggiori produttori europei di mais con un calo complessivo pari a 21 milioni di tonnellate nella sola Unione europea (-29%), con riduzioni che, tra i principali fornitori del mercato italiano, arrivano al 50% in Romania, al 57% in Ungheria e al 75% in Moldavia, mentre in Ucraina le ultime stime segnalano un calo superiore al 50%. Solo la Spagna, con 11,5 t/ha sia pure in calo dell’11%, presenta rese superiori a 10 t/ha, mentre la produzione è aumentata, grazie all’incremento delle superfici, soltanto in Polonia, +16%. Il che rende problematico l’approvvigionamento del mercato italiano che già nella campagna 2021/22, a fronte di una produzione nazionale di 6,1 milioni di tonnellate, ha fatto registrare un nuovo massimo storico nell’import netto con 6,3 milioni di tonnellate e oltre 1,7 miliardi di euro, con prezzi medi unitari all’importazione aumentati del 45% e stabilmente sopra i 300 euro per tonnellata a partire da aprile 2023. I prezzi internazionali, arrivati al massimo storico di 348 dollari per tonnellata ad aprile 2022, sono scesi intorno a 300 dollari a fine anno, ma rimangono comunque particolarmente elevati, come pure quelli nazionali che ne hanno seguito l’andamento. Situazione che ha pesanti ripercussioni sul comparto  mangimistico, sia per quel che riguarda i costi che l’approvvigionamento e poi a cascata sull’intera filiera zootecnica, mentre i maiscoltori italiani, già penalizzati dallo scarso raccolto, devono fare i conti con l’aumento generale dei prezzi dei mezzi produttivi e, in particolare, di quelli relativi ai fertilizzanti azotati, condizionati dalla crisi del gas naturale e, conseguentemente, dai prezzi estremamente elevati dell’ammoniaca. (Fonte dati: Istat, Eurostat e World Bank).

 

La soluzione è negli ibridi resistenti


Sono state dunque le gravi condizioni registrate nel 2022 relative agli stress abiotici (come la siccità) e biotici (basti pensare a funghi e micotossine) che hanno determinato un peggioramento qualitativo e quantitativo del mais a rendere urgente ed essenziale l’attività di ricerca volta a migliorare la sostenibilità e la resilienza dei sistemi colturali maidicoli.

I risultati del monitoraggio del contenuto di micotossine in granella condotto dalla Rete Qualità Mais,  coordinata dal Crea Cerealicoltura e Colture Industriali di Bergamo, hanno evidenziato che il 26% dei campioni analizzati presenta un contenuto in aflatossine superiore ai 20 µg/kg e il 65% con fumonisine maggiori di 4000 µg/kg. Ecco perché è necessario, attraverso il miglioramento genetico, sviluppare le varietà più resistenti o tolleranti agli stress. Questo è possibile anche grazie al lavoro della Rete Nazionale di confronto varietale, che annualmente fornisce informazioni utili sulla base dei dati ottenuti puntualmente per supportare questa scelta.