L’Ungheria investe nelle stalle da latte

Gestione mandria

L’Ungheria investe nelle stalle da latte

Viaggio nella zootecnia magiara insieme agli allevatori del progetto Resilience for Dairy (R4D)

 

Fra i punti di forza del progetto Resilience for Dairy (R4D), di cui il Crpa è il partner italiano, c’è lo scambio di conoscenze fra gli allevatori dei 18 Paesi europei che partecipano all’iniziativa. Una condivisione reale di problematiche comuni a tutti i partecipanti, che prende corpo durante le visite agli allevamenti nelle diverse nazioni. Dopo Irlanda, Francia, Belgio e Slovenia questa volta i delegati si sono dati appuntamento in Ungheria, una realtà di primo piano all’interno dell’agricoltura e della zootecnia comunitaria, dove negli ultimi anni l’allevamento da latte sta crescendo come volumi produttivi, alzando sempre il livello di efficienza delle stalle, con strategie spesso molto diverse da quelle a cui siamo abituati.

Vivere tre giorni insieme ad allevatori che vengono da tutta Europa è un’esperienza quasi mistica, sia per la difficoltà di rapportarsi con tutti a causa di oggettive barriere linguistiche, sia per la visione di chi è “pascolo-centrico”, rispetto a noi “stalla-centrici”. Ma è allo stesso tempo utile per comprendere la complessità di uno strumento come la Pac, che sempre più spesso male si adatta a un Continente dove le differenze climatiche, ambientali e culturali sono talvolta estreme. In Ungheria, forse più che in altre zone della Ue, i sussidi comunitari sono fondamentali nel processo di sviluppo dell’agricoltura e della zootecnia locali, ma quando chiediamo informazioni sulle strategie di contenimento delle emissioni in atmosfera e su come ridurre la produzione di metano negli allevamenti di vacche da latte, la risposta è unanime: “al momento non è un tema caldo”. Punto e basta.

 

Sempre più latte

Utili a comprendere i trend del settore le statistiche che ci ha fornito Krisztiàn Kovàcs, docente dell’Università di Debrecen (la seconda città dell’Ungheria), dalle quali emerge con chiarezza come la produzione di latte nel Paese negli ultimi 10 anni abbia avuto un costante sviluppo, passando da 1.684.896 tonnellate (2012) ai 2.080.230 del 2022. Il tutto a fronte di una contrazione del numero di vacche e ad un aumento della produzione media per capo, oggi attorno agli 84,5 quintali per bovina. Molto del latte ungherese non resta in patria, ma viene esportato in tutta la Ue, generando un volume di affari che supera i 160 milioni di euro, con flussi di prodotto che vanno a finire principalmente in Romania, Croazia, ma anche in Germania, Paesi Bassi, Polonia, Serbia e Italia, anche se l’export verso il nostro Paese si sta contraendo rispetto ad una decina di anni fa. A scorrere l’elenco degli attori principali del settore troviamo i “soliti noti” del circuito internazionale: Danone, Lactalis, Friesland Campina, che negli anni hanno rafforzato la propria posizione in Ungheria a colpi di acquisizioni. Stesso schema anche per aziende della distribuzione organizzata come Tesco, Lidl, Aldi le cui insegne sono presenti in tutto il Paese. Il problema irrisolto è quello della instabilità del prezzo del latte passato dai 58,4 euro/100 kg del 2022 ai 40,64 euro/100 kg di oggi. I ricercatori dell’Università di Debrecen stimano l’utile netto per vacca/anno nell’ordine dei 578 euro nelle aziende più efficienti, arrivando però a perdite di 130 euro/capo/anno nelle realtà rimaste indietro nel processo di ammodernamento.

 

Storia contemporanea

L’Ungheria, lo ricordiamo, viene da un passato non troppo remoto, durante l’era sovietica, dove l’agricoltura e l’allevamento erano appannaggio delle grandi aziende collettive di proprietà dello Stato, privatizzate dopo il 1989, quando il Paese ritrovò la sua piena libertà, affrancandosi da Mosca. Da quell’anno le cooperative divennero aziende private, i terreni vennero messi in vendita e i più intraprendenti fra gli imprenditori ebbero modo di acquisire a prezzi davvero competitivi realtà produttive che oggi valgono milioni di euro. Le tre stalle che abbiamo visitato nel nostro tour insieme agli allevatori del circuito Resilience for Dairy sono profondamente diverse fra loro, ma bene rappresentano il panorama ungherese, dove spesso a fianco delle vecchie stalle “di regime”, ormai crollate o in pessime condizioni, sorgono allevamenti moderni in cui l’automazione è davvero spinta.

 

Nyakas Farm, massima semplicità

Siamo a Hajdùnànàs, nella parte orientale dell’Ungheria, in una delle regioni più importanti del panorama agricolo del Paese. Ed è qui che Andràs Nyakas ha iniziato a costruire il suo impero nel 1995 con la costituzione del primo centro aziendale, a cui negli anni ne sono seguiti altri 5. I numeri sono importanti e nei 6 siti produttivi sono allevati circa 4.000 bovini di razza Frisona, di cui 1.750 in mungitura e 1.800 manze, senza dimenticare un gregge di 2.000 pecore di razza Île de France. L’azienda ha a disposizione 1.900 ettari di terreno (valore medio attorno ai 13-15.000 euro/ha), di cui 900 irrigui, 800 dei quali destinati al mais da trinciato, 180 a medica, 250 a girasole, 200 a grano, 140 a mais e 330 a erbaio. Le produzioni con 3 mungiture: 114 quintali per vacca con il 3,6% di grasso e il 3,2% di proteina. Bei numeri, vero? Lo sono ancora di più se pensiamo che in allevamento non ci sono sensori per i calori, ma sono i dipendenti muniti di gessetto colorato a segnalare gli animali da fecondare.

Nessun robot di mungitura, ma solo una giostra da 40 poste priva di “gadget” elettronici e di una semplicità costruttiva monastica, oltre ad una sala a spina di pesce 2x12. Tasso di riforma al 28%, primo parto a 22 mesi (e che nessuno rida dei gessetti), 2,2 interventi fecondativi per le manze e 3,5 per le vacche. I ricoveri per gli animali e i magazzini seguono la stessa logica e portano più che decorosamente i loro 20 anni di età, grazie ad una manutenzione minima, ma regolare.

 

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Andràs Nyakas, titolare dell’omonima azienda visitata dal gruppo di allevatori nell’ambito del progetto R4D

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Nell’azienda di Andràs Nyakas ogni giorno vengono munte 1750 bovine

 

La parola d’ordine è massima semplicità e pulizia totale, come si evince dalle fotografie che pubblichiamo. Dal canto suo Andràs Nyakas è un vero capo e insiste molto nel dire che i suoi 130 dipendenti fanno parte della sua famiglia e vengono pagati meglio della retribuzione media ungherese (circa 750 euro), percependo uno stipendio netto di 1.200 euro mensili per i livelli più bassi, che arrivano sino a 2.000 euro per i responsabili.

Non trascurabili gli altri benefit visto che la proprietà ingrassa dei vitelli per i dipendenti, a cui, oltre alla carne viene anche offerta in regalo una dotazione di “palinka” il più tradizionale liquore ungherese, una sorta di acquavite di mela o di prugna. Nel 2020 Nyakas Farm è stata insignita del titolo di più bella stalla d’Ungheria, e, giudicare dai trofei e dalle  coccarde esposte nella grande sala dove la delegazione di R4D viene accolta, in azienda sono piuttosto attivi anche nei concorsi di razza.

 

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La prima regola per Andràs Nyakas? Massima pulizia in stalla

 

Ma veniamo ai prezzi del latte, croce e delizia di ogni allevatore. Oggi Andràs lavora con Lactalis e il suo latte è destinato al mercato rumeno e, anche se il prezzo non è più quello del 2022, viste le quantità conferite giornalmente, la qualità del prodotto venduto e i premi che riesce a portare a casa, la quotazione sfiora nei momenti migliori i 50 centesimi, ma la situazione è nettamente meno interessante del passato, ma pur sempre remunerativa, anche grazie ai premi Pac.

Di investimenti tecnologici in azienda non se ne parla perché la “semplicità” dello stile Nyakas paga in termini di controllo dei costi di produzione, considerata anche la buona disponibilità di personale, un aspetto che supplisce alla mancanza di elettronica e di robot. Il grande vantaggio è che il 90% dei guasti che possono avere in stalla vengono riparati dai dipendenti a colpi di saldatore e martello. Quello che Andràs Nyakas non può risolvere sono i problemi creati dal conflitto ucraino, le tensioni sul mercato dei cereali, nonché gli effetti del riscaldamento globale che nel 2022 hanno portato ad una stagione siccitosa con produzioni ridotte del 30%. Altro aspetto è la difficoltà a trovare personale specializzato, nonostante le retribuzioni allettanti e il lavoro sicuro.

 

 

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Targa personalizzata per l'auto di Andràs

 

A tutta Jersey A2A2

Arrivare a Szuhafo, paesino di poche anime al confine con la Slovacchia, significa fare un salto indietro nel tempo. E la prima impressione che si ha è di essere in una parte dell’Ungheria dove i redditi medi siano piuttosto bassi. Centinaia di casette unifamiliari con ben visibili i segni del tempo, strade sempre più strette sino a quando si arriva a casa di Istvàn Kocsis e si entra in un mondo che sta viaggiano alla velocità della luce, con una strategia commerciale chiara e visionaria, anche per il mercato italiano.

Istvàn è un ingegnere meccanico e suo padre un imprenditore del settore edilizio. La loro idea di business? Dare vita ad una filiera 100% Jersey, 100% A2A2, trasformando direttamente il latte nel caseificio aziendale per produrre formaggi di fascia alta, destinati ai 4 punti vendita nella capitale (il loro marchio è Jersey Miracle).

 

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Istvàn Kocsis, ingegnere meccanico con la passione per le Jersey. Gli animali sono stati importati dalla Danimarca

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L'allevamento Kocsis sta selezionando per avere una mandria al 100% A2A2

 

Oggi in stalla ci sono 55 vacche in latte, che, come il resto del bestiame, è stato importato dalla Danimarca. Prima la mandria era più ampia, ma per raggiungere più in fretta l’obiettivo di essere al 100% A2A2 i Kocsis non hanno esitato a vendere decine di capi non in linea con i loro obiettivi genetici.

Stalla moderna, due robot di mungitura, allattatrici elettroniche per i vitelli e robottino spazza liquami. Senza dimenticare il moderno caseificio, vero cuore pulsante dell’azienda. Le produzioni sono di 56 quintali di media, ma con il 5,4% di grasso e il 4,3% di proteina. Dati preziosi per la trasformazione, visto che i Kocsis hanno investito molto nel caseificio aziendale, grazie anche ad un generoso contributo Ue. Siamo in zona collinare e dei 700 ettari a disposizione (valore medio 5-8mila euro), solo 200 sono destinati a grano e mais, mentre 500 sono ad erbaio, con produzioni altalenanti, specialmente quando la siccità estiva inizia a farsi sentire.

 

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Il caseificio ha una dotazione impiantistica di prim'ordine

 

Nonostante ciò l’azienda è autosufficiente e, anche quando la mandria crescerà di nuovo, non dovrebbero avere problemi di approvvigionamento. Oltre a stalla e caseificio, i Kocsis stanno costruendo depositi per i foraggi e hanno ampliato le proprie attività alla ristorazione, costruendo uno splendido ristorante destinato a feste, banchetti e matrimoni, nonché dedicandosi all’ospitalità dei turisti che scelgono questo angolo remoto di Ungheria per il tempo libero.

Già oggi i loro formaggi compaiono nel menù di alcuni ristoranti stellati della Capitale e i progetti di diffusione del loro latte A2A2 in bottiglia sono in fase avanzata, in linea con il business plan iniziale. Budapest è a meno di 3 ore di auto dalla loro azienda, con un mercato di 1,8 milioni di consumatori, molti dei quali alto spendenti e attenti agli aspetti salutistici legati all’alimentazione. Una nicchia che Istvàn Kocsis vuole aggredire con le sue Jersey.

 

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Il latte A2A2 pronto per essere venduto nei negozi dell'azienda di Istvàn Kocsis

 

Molta tecnologia, poco amore

Ultima tappa a Emod, per visitare la Emod Mezogazdasàgi Zrt, impresa costituita nel 1999 rilevando una grande azienda statale del periodo sovietico già attiva negli anni ’70, di cui restano le vestigia dietro la stalla nuova. La scelta della proprietà è stata quella di automatizzare al massimo sia la mungitura, oggi affidata a 8 robot, sia la preparazione e la distribuzione della razione.

 

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In stalla 400 Frisone in mungitura

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L’installazione del robot di alimentazione è del 2020; il robot serve tutta la stalla

 

Una gestione moderna che permette alle oltre 400 Frisone in lattazione di arrivare ai 123 quintali di produzione media con il 3,72% di grasso e il 3,52% di proteina. Abbondante il terreno a disposizione, visto che in totale sono 1.300 gli ettari coltivati, gran parte dei quali destinati a foraggere per l’alimentazione del bestiame.

Di particolare c’è da segnalare l’ampio utilizzo di carote lavate, scartate dall’industria alimentare, ma perfette per l’alimentazione del bestiame, che uniscono ad un ottimo valore nutritivo un prezzo davvero interessante per la Emod Mezogazdasàgi Zrt. Quello che ci ha negativamente colpito è la scarsa attenzione alla foraggiata, visto che la mancanza di tettoie in alcune zone della stalla, fa sì che la pioggia inzuppi d’acqua la razione, senza che nessuno intervenga a sistemare il problema. Senza parlare delle generali condizioni della stalla, dove si risente di una certa trascuratezza generale, ma evidentemente, se l’obiettivo è fare tanto latte, i 123 quintali di media sono certamente un buon risultato. Anche se un po’ più di attenzione non avrebbe fatto male a nessuno.

 

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Le carote utilizzate nella razione

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I box dei vitelli sono stati sistemati non molto lontani dalla stalla principale