Metano, bufale e bovine pari sono

Gestione mandria

Metano, bufale e bovine pari sono

Si può ipotizzare che le strategie di mitigazione delle emissioni climalteranti sviluppate per una specie siano efficaci anche nell’altra. È quanto si evince da un recente studio scientifico

 

La percezione della qualità dei prodotti di origine animale, anche di quelli a grandissimo valore aggiunto come la mozzarella di bufala, si è evoluta nel corso degli ultimi anni. Ai requisiti organolettici e della sicurezza alimentare si sono inizialmente aggiunti quelli salutistico-nutraceutici raggiungibili attraverso l’arricchimento delle diete con sostanze in grado di essere trasferite nel latte in modo diretto o tramite bio-trasformazione da parte del ruminante.

In una fase successiva, il consumatore ha cominciato ad interessarsi di welfare animale richiedendo una produzione (giustamente, ci permettiamo di aggiungere) “etica”, ovvero rispettosa del benessere animale in tutte le fasi produttive. Oggigiorno la nuova frontiera è quella della sostenibilità ambientale. Le nuove generazioni di consumatori, specialmente nei Paesi più evoluti e benestanti, unitamente ad organizzazioni internazionali quali la Fao, sono seriamente preoccupati per la possibilità che la vita sul nostro pianeta smetta di prosperare. La produzione deve essere oggigiorno sostenibile, possibilmente circolare e con impatto zero in termini di impronta carbonica.

 

Sul banco degli imputati

Quando si hanno nobili propositi e la situazione diviene urgente bisogna agire in fretta e individuare i nemici della propria causa. Ecco allora sul banco degli imputati i combustibili fossili, a cui si associa il crescere del mercato delle automobili elettriche ed ibride. Secondo imputato i ruminanti, che producono metano a causa del sofisticato sistema digestivo di cui l’evoluzione li ha dotati.

I ruminanti, grazie alla simbiosi con i microrganismi del rumine, sono in grado di fermentare molti alimenti (anche quelli meno digeribili ed impossibili da digerire per l’uomo e per i monogastrici) producendo energia per il loro sostentamento, vitamine per la produzione di latte (che in tal modo non sono prodotte a livello industriale) e proteine nobili per l’alimentazione umana.

Le fermentazioni ruminali, tuttavia, si sono evolute a favore del mutuo beneficio del ruminante (bovina o bufala che sia) e della flora ruminale e in tale prospettiva evolutiva la Natura non ha considerato l’impatto dei sottoprodotti della fermentazione ruminale in chiave ambientalista. È un dato di fatto che i ruminanti producono quantità di metano non irrilevanti sia attraverso l’eruttazione ruminale, che dalla fermentazione delle deiezioni. Tra i ruminanti, i maggiori produttori sono proprio quelli con le diete più fibrose poiché viceversa la fermentazione dell’amido e degli zuccheri va verso la produzione di propionato, la quale utilizza molto idrogeno, lasciandone poco per la produzione di metano. Nelle diete fibrose o al pascolo, la produzione di metano tende ad essere maggiore poiché la fermentazione della fibra si indirizza verso la produzione di acetato, da cui ne consegue un maggiore residuo di idrogeno a livello ruminale. L’idrogeno è tossico per la flora ruminale, che lo elimina proprio attraverso la produzione di metano.

 

Cambio di prospettiva

Ma c’è un però. Produrre metano non è sufficiente per trovare posto nel banco degli imputati. Molto dipende da come si fanno i calcoli e da una visione complessiva nella quale viene considerato l’impatto ambientale del metano, ma anche cosa i ruminanti posso fornire come contropartita per bilanciare le innegabili emissioni in atmosfera. Ci permettiamo solo di completare questo ragionamento con un paio di fatti, poiché oggi la discussione verte su aspetti più tecnici e inerenti anche le bufale.

La prima osservazione è che esiste una differenza tra le emissioni derivanti dai ruminanti e quelle dei combustibili fossili. Nel primo caso si tratta di un ricircolo netto, nel quale il carbonio dell’anidride carbonica (CO2) viene continuamente riciclato dall’ecosistema rappresentato dalla bufala, dalla produzione di latte, dalle emissioni, dall’atmosfera e dalle piante (https://clear.ucdavis.edu/explainers/biogenic-carbon-cycle-and-cattle). Nel secondo caso invece (combustibili fossili), si va a estrarre del carbonio sotto forma di petrolio dal sottosuolo per riversarlo dopo la combustione in atmosfera. In tale caso si tratta di una emissione netta e cumulativa.

La seconda osservazione è che se è vero che i ruminanti rappresentano la grande maggioranza del metano emesso in atmosfera all’interno del settore agricolo, è pur vero che essi sono solo una parte del problema (vedasi i dati riportati dall’U.S.EPA/globalmethane.org: https://asm.org/articles/2023/june/ruminant-methanogens-as-a-climate-change-target).

 

Alimenta.jpg

Nello studio di Malik et al. (2021) bovine e bufale alimentate con la stessa dieta e a parità di ingestione non hanno mostrato differenze significative nella resa in metano (13,4 g/kg SS le prime e 13,5 g/kg SS le seconde)

 

Differenze con il bovino

Tutto ciò premesso, esistono differenze tra bovine e bufale nella produzione di metano? In un recente studio (Malik et al., 2021), i ricercatori hanno cercato di dare risposta a tale interrogativo considerando se bufali e bovini alimentati con la stessa dieta e stabulati nelle stesse condizioni fossero in grado di produrre le stesse quantità di metano. Una risposta potrebbe stimolare la messa a punto di strategie di mitigazione del metano prodotto a livello ruminale da parte dei bufali. Le strategie di mitigazione diretta sono infatti rivolte al condizionamento della microflora ruminale soprattutto dei batteri metanogenici e dei microrganismi appartenenti al genere Archaea.

Se le popolazioni microbiche non risultassero poi così diverse tra bufali e bovini e se l’effetto della specie animale non risultasse determinante per la composizione della microflora ruminale, allora si potrebbero applicare le stesse tecnologie di riduzione del metano oggi presenti nelle bovine anche per le bufale. La cosa viene però complicata dal fatto che precedenti studi avevano anche dimostrato come le condizioni ambientali possano influenzare gli Archaea ruminali e quindi la produzione di metano.

Nel corso della prova è stata quindi fornita ai due gruppi di animali la stessa dieta, composta da concentrati e foraggi scarsamente digeribili (Napier grass) e le due specie animali sono state mantenute nelle stesse condizioni ambientali. Lo studio in vivo ha rivelato che l’emissione di metano enterico (grammi/giorno) è significativamente maggiore nei bovini rispetto ai bufali. Tuttavia, in questo studio le bovine hanno ingerito una quantità di sostanza secca maggiore rispetto alle bufale (10,5 vs. 6,86 kg/giorno). Il confronto della resa in metano (g/kg di sostanza secca ingerita) calcolata utilizzando l’emissione giornaliera di metano e la media dell’ingestione non ha rivelato una differenza significativa (P = 0,519) tra bovini (13,4 g/kg DMI) e bufali (13,5 g/kg DMI) alimentati con la stessa dieta.

Pertanto, tale recente studio confermerebbe che se la dieta e le condizioni ambientali sono le stesse, l’ospite ha una limitata disponibilità di influenzare la struttura della comunità degli Archaea ruminali e quindi la produzione di metano. Di conseguenza, si può ipotizzare le strategie di mitigazione del metano sviluppate in una delle due specie dovrebbero essere efficaci anche nell’altra.

 

Il caso dell’India

La specie bufalina rappresenta una specie molto importante dal punto di vista produttivo in molti Paesi del mondo. Per esempio, i bufali sono parte integrante del sistema zootecnico dell’Asia meridionale grazie a quel 53% della popolazione mondiale di bufali che è presente in India.

Le bufale in India coprono quasi il 50% della produzione totale di latte e svolgono pertanto un ruolo importante nell’alimentazione, nel benessere e nella sicurezza nutrizionale di questo immenso Paese. Inoltre, con il solo contributo della carne di bufalo, l’India è uno dei maggiori Paesi esportatori di carne bovina al mondo.

Ai fini degli inventari nazionali dei gas serra, le emissioni sono espresse in teragrammi di CO2 equivalente (Tg CO2 Eq). Un teragrammo equivale a 1.012 grammi, ovvero a un milione di tonnellate. Con un’emissione annua di 87–97 Tg, la fermentazione ruminale rimane una delle maggiori fonti di metano nel settore agricolo e il contributo del globale per bovini e bufali nell’emissione annuale di metano enterico è pari rispettivamente al 77 e al 13% del totale.

L’India ha circa il 13% della popolazione mondiale di bovini e il 53% della popolazione mondiale di bufali, e questi rappresentano 4,92 e 2,91 Tg di emissioni enteriche globali annuali di metano dalle rispettive specie.

 

attesa.jpg

L’entità delle fermentazioni aumenta laddove è maggiore il contenuto in proteine e fibre dell’unifeed, il che si traduce, però, anche in produzioni di latte più elevate

 

Ricerca made in Italy

Così come in India, anche nel nostro Paese la bufala è una specie importante. Il crescente interesse per la mozzarella ha indotto una crescita del numero di bufale da latte allevate, che in Italia è passata da circa 100mila esemplari negli anni ’80 a oltre 400mila animali registrati nel 2021. In un recente studio (Ciriello et al., 2020) condotto dall’Istituto per il sistema di produzione animale nell’ambiente mediterraneo del Cnr di Napoli, i ricercatori hanno voluto quantificare il fattore di emissione di metano nelle bufale in lattazione mediante confronto di quattro diverse tipologie di gestione: familiare, convenzionale, biologica e “sostenibile”.

Per determinare le emissioni enteriche di metano, è stata analizzata la gestione aziendale e le informazioni sulla produzione. È stato dimostrato come in un allevamento convenzionale, il fattore di emissione di metano (CH4) per i bufali è di 27,69 kg CH4/capo/anno rispetto a 22,77 e 21,61 kg CH4/capo/anno, rispettivamente per il sistema biologico e per quello familiare. La spiegazione risiederebbe nel fatto che l’entità delle fermentazioni dipende anche dal maggior contenuto di proteine e fibre nell’unifeed somministrato negli allevamenti convenzionali rispetto a quelli familiari (il che si traduce, però, anche in produzioni più elevate). Infatti, il rapporto di emissione enterica (CH4/apporto energetico lordo) riflette specularmente questi dati: 12,04 - 10,93 - 10,16 e 10,65 rispettivamente per le aziende agricole convenzionali, biologiche, sostenibili e a conduzione familiare.


di Andrea Roberti