Gestione mandria
Stress termico, una sfida per i nostri allevamenti
Nelle stalle da latte l’afa estiva produce ingenti danni economici che è possibile limitare con adeguate contromisure. In questo articolo facciamo il punto sugli effetti avversi prodotti dal caldo
Nelle stalle per vacche da latte il caldo estivo comporta ogni anno danni economici dovuti principalmente al peggioramento delle prestazioni produttive e riproduttive delle bovine, specie di quelle ad alta produzione. Tale peggioramento è tanto più evidente e duraturo quanto più il clima è caratterizzato da umidità elevate.
Dal punto di vista zootecnico i principali orientamenti per ridurre gli effetti dello stress termico sono il miglioramento delle condizioni ambientali di allevamento, il miglioramento genetico dei bovini da latte, l’adozione di idonee tecniche di razionamento.
Nel presente articolo vengono descritti i principali effetti negativi sugli animali, con particolare riferimento alle condizioni climatiche e alla realtà zootecnica della pianura padana.
Punta dell’iceberg
Lo stress termico rappresenta una problematica ben nota nell’allevamento della bovina da latte, in particolare per gli effetti negativi sulla produzione lattea. In realtà, gli effetti sul latte rappresentano soltanto la “punta dell’iceberg” di un problema molto più ampio che ha conseguenze su diversi aspetti: riproduzione, nutrizione, crescita, problematiche podali e malattie in generale. Inoltre, non è da sottovalutare il fatto che, mentre l’effetto negativo del caldo sulla produzione lattea diventa evidente in tempi piuttosto brevi, altre problematiche (riproduttive e sanitarie) sono destinate a manifestarsi anche dopo mesi.
Tra i principali effetti avversi del caldo estivo sulle vacche da latte ricordiamo: depressione del sistema immunitario e aumento dell’incidenza delle malattie, mastiti comprese, riduzione della fertilità e conseguente aumento del periodo interparto, possibile aumento di mortalità embrionale e di parti distocici, cali consistenti nella produzione lattea dovuti a ridotta assunzione volontaria di alimenti; peggioramento qualitativo del latte e in particolare del tenore in proteine, tenore in grasso e acidità.
Altri effetti negativi sono strettamente legati all’adattamento fisiologico delle bovine a condizioni di stress indotte dal clima estivo; le principali risposte fisiologiche degli animali allo stress da caldo sono: la minore ingestione di alimenti, la maggiore assunzione di acqua, la modifica del ritmo metabolico e del fabbisogno energetico, le maggiori perdite di acqua per evaporazione, l’aumento del ritmo respiratorio, l’innalzamento della temperatura corporea e la modifica delle concentrazioni di ormoni nel sangue.
Meno latte in cisterna
Negli ultimi 40 anni la produzione di latte per vacca è aumentata notevolmente. Questa elevata produzione ha portato a un aumento del calore metabolico prodotto dalle vacche che, di conseguenza, sono diventate più suscettibili agli effetti dannosi dello stress da calore. A causa della relazione positiva tra la produzione di latte e la produzione di calore, le vacche che producono di più sono più soggette a stress da calore rispetto agli animali che producono meno (Spiers et al., 2004). I processi di sintesi e secrezione del latte aumentano la produzione di calore metabolico delle vacche. Per esempio, la produzione di calore delle vacche che producono 30 kg di latte al giorno è due volte più alta della produzione di calore di mantenimento delle vacche non allattanti, e quella delle vacche ad alta produzione di latte che danno 55 kg al giorno è circa tre volte più alta della produzione di calore di mantenimento (Wolfenson e Roth, 2019).
Numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato che le condizioni climatiche durante i tre giorni precedenti la misurazione della produzione sono altamente correlate con la produzione di latte rispetto alle condizioni medie di altri periodi precedenti il campionamento. Si tratta di una diminuzione dovuta principalmente alla riduzione dell’ingestione di sostanza secca e alla minore efficienza di conversione dell’alimento ingerito (Lambertz et al., 2014).