Lupo italiano, questo desaparecido

Gli attuali “lupi italiani” hanno un corredo genetico mescolato a quello di altre specie

Gestione mandria

Lupo italiano, questo desaparecido

I soggetti presenti nel nostro territorio sono frutto di un cocktail genetico che li rende lontanissimi parenti dell'antico predatore, ridotto a pochi esemplari

Leggo un sacco di interpretazioni fantasiose della realtà che in fatto di predazione noi allevatori stiamo vivendo e subendo. Da più parti si continua a negare la realtà e la logica, e si continua a dire che in Italia vive un lupetto timido e romantico, che poco si rispecchia col temibile predatore Alfa, vertice della catena alimentare del suo gruppo trofico. In qualche perverso modo tutto ciò è insito nel gioco delle parti, ma quel che vorrei fare con questo articolo –se riesco – è portare un po’ di chiarezza.
 

C’era una volta

Il Lupus italicus (lupo appenninico autoctono italiano) era un canide con caratteristiche precise, sia a livello morfologico che comportamentale: taglia contenuta (peso medio dei maschi adulti 25 kg, e 20 kg per le femmine), non troppo alto sugli arti, con una pelliccia non eccessivamente appariscente adatta a mimetizzarsi nelle macchia mediterranea e nelle zone montane ed impervie del centro sud Italia; aveva ciclo di attività principalmente notturno, anche e principalmente per via della caccia da parte dell’Uomo e delle taglie in denaro che valeva la sua “testa” o carcassa; si riproduceva una sola volta l’anno, era relativamente prolifico (le cucciolate erano di 3-4 cuccioli) ed aveva come schema organizzativo e sociale i cosiddetti “branchi famiglia”, composti dai genitori – la coppia Alfa – e dai cuccioli dell’anno, che una volta raggiunta la maturità sessuale si allontanavano dal territorio dei genitori perché altrimenti non ci sarebbe stato abbastanza nutrimento per tutti. I branchi tradizionali erano piccoli e quindi le prede che potevano catturare erano ovviamente proporzionate alla “forza del branco”. Questo profilo zoologico/etologico servì ad auto-modellare un “tipo” di lupo ben preciso, che aveva la sua nicchia nell’areale italico.
Ma tutto questo è ormai storia antica: non possiamo prescindere dal percorso evolutivo che ogni specie sulla terra compie in modo naturale e spontaneo, e quindi dal conseguente mutamento anche a livello etologico e comportamentale. Ma in Italia oggi stiamo assistendo a modifiche che di naturale e spontaneo hanno veramente poco.
 

Inquinamento genetico

Chi ha eseguito analisi genetiche sui “lupi italiani” (e su quelli che hanno sconfinato in Austria, Francia, Germania, ecc.) ha potuto verificare senza ombra di dubbio che gli attuali “lupi italiani” hanno nel loro corredo genetico parte di quello distintivo di molti altri loro parenti: dal lupo carpatico, al lupo dinarico, al lupo grigio americano, fino al Canis familiaris. Questo inquinamento genetico di varie provenienze (naturali e indotte da scelte umane: mirate o casuali che siano, poco importa a questo punto) ha portato con sé una messe di cambiamenti radicali e sostanziali sulla popolazione di lupo italiana ed europea. Ci sono più fattori che hanno portato alla sostituzione del Canis lupus italicus da parte degli attuali ibridi e meticci; il primo di questi fattori è che per effetto della eterosi o vigore ibrido, gli incroci (ibridi o meticci che siano) hanno tutta una serie di caratteristiche vincenti che li mettono in posizione di dominanza rispetto ai – pochi, ormai – soggetti “puri” di lupo italiano. Charles Darwin ci insegna che in natura il più adatto si riproduce ed impone quindi il suo patrimonio genetico alle generazioni successive. Quando sei più grosso di taglia (i lupi attualmente misurati e pesati dagli Enti preposti sono sui 40 kg, con punte oltre i 52 kg), ti riproduci 2 volte l’anno per effetto del meticciamento con il Canis familiaris, le tue cucciolate sono più numerose (è stata registrata una cucciolata di 9 cuccioli tutti vivi), e per cambiamenti ambientali e comportamentali si riproducono anche altre femmine oltre quella alfa (anche questo registrato nei branchi in nord/centro Italia dagli addetti ai lavori), il gioco è fatto!
A tutto questo aggiungiamo che per via dell’abbandono delle campagne ci sono per i predatori più territori liberi da colonizzare, e per completare il quadro in questi territori sono presenti mandrie e greggi impossibilitate ad applicare tutte quelle protezioni adatte a difendersi dai predatori.
Altri fattori esplicativi che si assommano a quelli da me elencati vengono suggeriti e spiegati abbastanza bene in un articolo dal titolo “Gli animali che cambiano per via dell’Uomo” di Alessandro Pilo pubblicato il 9 dicembre 2019 su “La Stampa” (https://www.lastampa.it/tuttogreen/2019/12/09/news/gli-animali-che-cambiano-per-via-dell-uomo-1.38125978), di cui viene riportato qui di seguito qualche stralcio significativo.

lupo, predazione, pascolo, bovini
Per via dell’abbandono delle campagne, per i predatori ci sono più territori liberi da colonizzare, e in questi territori sono presenti mandrie e greggi impossibilitate ad applicare tutte quelle protezioni adatte alla difesa dai predatori
 

Il ruolo delle attività umane

“Alcuni (animali) stanno diventando notturni, altri urbani. È in corso un’evoluzione causata dalla presenza dell’essere umano. Dagli esiti imprevedibili. Finora era solo un sospetto, poi una ricerca pubblicata sulla rivista Science l’anno scorso l’ha provato in modo autorevole: dall’analisi del comportamento di 64 specie di mammiferi di taglie, abitudini alimentari e continenti diversi è emerso che sempre più animali” […] “hanno cambiato le proprie abitudini, anche specie carnivore come leoni o coguari” […]
“E in Italia? Attualmente non esistono studi che collegano direttamente una maggiore attività notturna alla presenza umana, tuttavia alcune ricerche recenti mostrano che in specie come il cinghiale, il camoscio alpino e l’istrice sono visibili dei cambiamenti nell’orario delle proprie attività, e una maggiore presenza durante la notte. Soprattutto nel caso dei cinghiali nostrani, uno studio italiano pubblicato sulla rivista Mammalian Biology ipotizza che decenni di caccia li abbia portati ad adattarsi e ridurre di conseguenza le ore diurne, quelle più pericolose. Ma va anche detto che alcuni animali hanno scelto una strategia di sopravvivenza opposta, ossia avventurarsi nelle nostre città e trarre beneficio dalla vicinanza dell’essere umano”. “I casi più noti - spiega Emiliano Mori, ricercatore in biologia evolutiva dell’Università di Siena - sono il gufo comune, che ha modificato la sua alimentazione in ambiente urbano, adattandosi a mangiare i ratti invece delle arvicole, mentre il geco è diventato notturno per andare a nutrirsi delle falene sulle pareti sotto ai lampioni. C’è poi il caso delle volpi e degli istrici, che però continuano ad avere sempre bisogno di piccoli spazi verdi dove localizzare i siti di tana”.
Un cambiamento così importante nelle abitudini di questi animali non può avvenire senza conseguenze. L’ampio studio pubblicato su Science infatti mette in guardia sugli imprevedibili risultati di questi cambiamenti. Secondo la ricercatrice dell’Università di Berkeley Kaitlyn Gaynor, parte del team che ha lavorato allo studio, le dinamiche tra predatori e prede sono destinate a cambiare e a creare effetti a catena sui fragili equilibri degli ecosistemi. Per esempio alcuni animali potrebbero servirsi dell’essere umano come “scudo temporale” contro i predatori. “L’unica certezza, al momento, è che l’essere umano è diventato indirettamente la principale forza evolutiva nel regno animale”.


Verso il Cyberlupo

Sono dunque i ricercatori e gli studiosi a dirci che le abitudini etologiche, alimentari e di vita degli animali selvatici vengono pesantemente influenzate e plasmate dalla presenza e dalle attività umane. Quindi, ogni volta che sento recitare la strumentale litania del buono e bravo lupo italico (quello piccolotto e “botolo”, schivo ed elusivo per antonomasia), e poi mi vedo davanti dei “lupastri” neri, striati o a chiazze bianche, over 40 kg, e con le zampe lunghe come pali, onestamente mi girano le scatole, anche perché questi sono i lupi italiani di oggi, ed hanno mutato radicalmente ogni loro aspetto: dal fenotipo, al metabolismo, all’etologia.
Insomma, siamo giunti al 2020, l’era Cyberpunk per antonomasia; i lupi stanno al passo coi tempi, ed evolvono in modo (per loro) funzionale ed efficace: continuando di questo passo avremo a che fare con il Cyberlupo italiano.
 

di Roberto Maviglia – Ovinicoltore di Menconico (Pv)