La selezione per le stalle in regime biologico

Allevare bovine più robuste e funzionali, con attenzione alla qualità del latte

Gestione mandria

La selezione per le stalle in regime biologico

Per chi produce latte biologico i criteri di scelta dei tori non sono gli stessi delle stalle convenzionali, pena la sostenibilità economica dell’azienda

L’allevamento biologico e tutti i prodotti che ne derivano è in continuo aumento, dicono le statistiche nazionali ed internazionali. I trend di mercato indicano che il prodotto biologico è sempre più apprezzato e ricercato dai consumatori perché garantisce loro il benessere degli animali allevati ed un minore utilizzo di farmaci. Nelle discussioni e nelle riflessioni fatte a convegni e incontri sul tema del biologico è abbastanza raro che si parli di miglioramento genetico e di selezione. Eppure se le condizioni di allevamento sono specifiche e ben differenziate dall’allevamento intensivo tradizionale, è piuttosto semplice immaginare che il tipo di animale che meglio si adatta alle condizioni di allevamento biologico sia diverso da quello degli altri allevamenti. Quali sono le caratteristiche genetiche da ricercare per un allevamento biologico? Quali strumenti utilizzare per costruire la mandria che crea maggior reddito nelle condizioni “biologiche”?
 

Low input

Che cosa contraddistingue un allevamento biologico da uno convenzionale? Nell’allevamento biologico l’obiettivo primario non è massimizzare i ricavi tout court, ma quello di consentire all’animale di svolgere al meglio la propria funzione di trasformatore di foraggio in latte e carne. Tre sono gli elementi che possiamo riassumere importanti per l’allevamento biologico:
• garantire il maggior benessere animale possibile;
• mantenere livelli di salute della mandria ottimali con un uso limitato di farmaci ed antibiotici;
• un rapporto concentrato/foraggio molto diverso (40:60) da quanto utilizzato nell’allevamento convenzionale.
Rispetto agli allevamenti convenzionali che sono considerati ad alta ingestione (high-input), l’allevamento biologico può essere considerato a bassa ingestione soprattutto in relazione al ridotto contenuto di energia e proteina nella dieta.
 

Esigenze selettive

L’analisi di quanto pubblicato sulle specifiche esigenze selettive dell’allevamento biologico evidenzia due fattori chiave:
1. la necessità, per le aziende biologiche, di allevare un tipo di animale più robusto e più funzionale e comunque differente da quello allevato nelle aziende tradizionali;
2. una maggiore attenzione da dare ai caratteri quali la qualità del latte prodotto più che la quantità, la funzionalità delle mammelle, la longevità, la fertilità e la resistenza a mastiti, patologie podali e metaboliche.
Serve dunque un tipo genetico di animale diverso da quello che normalmente si seleziona nelle aziende convenzionali.
La legislazione è molto generica in proposito, specifica solamente che gli animali allevati in un’azienda biologica devono essere in grado di adattarsi all’ambiente locale e che le razze locali sono da preferire. In realtà la maggioranza delle aziende che oggi si definiscono “biologiche” utilizzano gli stessi tori e le stesse razze che vengono utilizzate negli allevamenti non biologici.
Un’ultima considerazione va fatta sui nuovi sviluppi tecnologici per quanto riguarda la selezione come la genomica combinata con tecnologie riproduttive come l’embryo transfer o il seme sessato e la stessa genomica: come si sposano con i principi ideali del biologico? Come selezionare dunque animali che possono produrre in maniera efficiente nel contesto biologico? Quali tecnologie utilizzare per la selezione e la riproduzione negli allevamenti biologici, senza venir meno ai suoi principi?
 

Produzione efficiente

Per quanto riguarda la prima domanda, occorre fare attenzione all’interazione genotipo-ambiente: è probabile che molti riproduttori che danno ottimi risultati nelle aziende convenzionali non rendano altrettanto bene negli allevamenti biologici. Per valutare l’importanza di questo aspetto è utile osservare le correlazioni genetiche che Interbull, l’organizzazione che si occupa di confrontare fra loro tori di Paesi e continenti produttivi diversi, stima tra l’Italia e Paesi come la Nuova Zelanda o come l’Irlanda, dove l’allevamento è per natura del territorio e della tradizione zootecnica estensivo (tabella 1).

biologico, indice genetico

Tutte le correlazioni sono molto inferiori a 1 e questo significa che le classifiche dei tori fra Italia, Irlanda e Nuova Zelanda sono molto diverse un po’ per tutti i caratteri. I geni che si esprimono al meglio nelle condizioni “intensive” non si esprimono allo stesso modo nelle condizioni estensive.
Per quanto riguarda la seconda domanda si rimanda a quanto illustrato nei paragrafi successivi.
 

Indici genetici per il bio

Nel 2005 in Canada è stato messo a punto e definito un indice di selezione per le aziende biologiche (razza Frisona) che rispetto alla selezione ufficiale del periodo (l’indice LPI nella sua formulazione del 2005) dava maggiore enfasi a durata un allevamento e salute. È l’unico indice ufficiale per il “biologico” che sia mai stato pubblicato.  Altre ricerche condotte in Olanda hanno confermato la necessità di un indice diverso per gli allevamenti biologici rispetto a quelli tradizionali e sottolineano l’importanza di longevità e salute, qualità e conformazione dell’apparato mammario.
Una tesi svolta in Svezia conferma quanto visto negli studi precedentemente illustrati, ma non ritiene necessario lo sviluppo di un indice ad hoc, considerando il rapporto tra i caratteri individuato per l’indice nazionale Nordic Total Merit (NTM) come adatto anche a rispondere alle esigenze specifiche dell’allevamento biologico. Questo indice degli anni ’90 dà soltanto un 30% di importanza alla produzione, mentre il restante 70% dell’indice ha come obiettivo quello di migliorare funzionalità, robustezza e salute degli animali. In Italia, almeno per la Frisona, sono stati introdotti di recente due indici economici che spostano l’enfasi dai caratteri produttivi a quelli funzionali rispetto all’indice nazionale PFT. Sono entrambi ancora lontani dalla quota 30% dell’indice per il biologico canadese e dell’indice di selezione per i Paesi Nordici, ma ci si avvicinano parecchio e per gli allevamenti biologici possono essere più utili del PFT nell’identificare i riproduttori migliori. Sono l’Indice Economico Salute (IES) pubblicato nel 2016 e l’Indice Caseificazione e Sostenibilità - Parmigiano Reggiano (ICS-PR) ufficiale dal dicembre 2018.
Nella figura 1 si confronta la composizione di un indice biologico sviluppato da Rozzi nel 2005 con quella dell’indice canadese attuale (LPI 2019), con i tre indici italiani ufficiali per la Frisona Italiana (PFT, IES e ICS-PR) e l’indice di selezione utilizzato nei Paesi Nordici (Danimarca, Finlandia e Svezia). PFT e LPI nella loro formulazione più recente danno sì più spazio a durata e salute rispetto a versioni precedenti, ma non sufficienti per le necessità genetiche dell’allevamento biologico.

indice biologico

 

Standard High Welfare Federbio

Lo Standard High Welfare per il biologico promosso da FederBio è una certificazione volontaria. L’obiettivo è quello di creare uno spazio per tutti quegli allevatori che vogliono “alzare l’asticella” per quanto riguarda il benessere animale e andare oltre alla normale certificazione biologica. Facendo riferimento ai contenuti dei Regolamenti europei del biologico che definiscono i “principi guida”, possiamo dire che:
a) il benessere è il punto di riferimento da raggiungere attraverso la conoscenza e il rispetto dei bisogni etologici degli animali;
b) la salute deve essere preservata attraverso la corretta gestione aziendale, tra cui la scelta della razza o della linea genetica, ed è il passo imprescindibile per la riuscita di un allevamento economicamente sostenibile.

pezzata rossa italiana
La Pezzata Rossa Italiana è quella che meglio combina produzione di latte e di carne avendo conservato nel tempo la sua peculiarità di razza a duplice attitudine

Lo Standard FederBio delinea un allevamento dove il benessere animale è riconosciuto come imprescindibile e al cui centro, come elemento caratterizzante, c’è il pascolo. Questo standard prevede infatti, per le vacche da latte, almeno 120 giorni di pascolo l’anno per l’intera mandria, dove il pascolo viene inteso come un terreno coperto di vegetazione da cui gli animali traggono una parte della loro razione quotidiana. Per quanto riguarda i vitelli, è richiesto che non siano isolati e che siano alimentati con il latte fresco dell’allevamento, e che siano allattati alla mammella dalla madre o da una balia dopo la colostratura.
All’interno di questo standard si sta lavorando allo sviluppo di un indice di selezione per il biologico che combini i caratteri oggi oggetto di valutazione genetica per la Frisona, in maniera da costruire mandrie che già a partire dai loro geni sono per costituzione più sane, robuste e più facili da mantenere in una situazione di benessere nel contesto produttivo sopra ricordato.
 

Locali o cosmopolite?

Se si parte da zero con l’obiettivo di creare un allevamento bovino da latte biologico, una delle opzioni da prendere in considerazione è, senza dubbio, quale tipo di razza allevare. Ci sono razze che per le loro caratteristiche genetiche ed il loro indirizzo selettivo sono già più adatte a questo tipo di allevamento.
Tra le principali razze da latte italiane la Pezzata Rossa Italiana è quella che meglio combina produzione di latte e di carne avendo conservato nel tempo la sua peculiarità di razza a duplice attitudine, pur facendo uso delle più avanzate tecnologie di selezione, inclusa la genomica. È una razza che produce latte di qualità e particolarmente adatto alla trasformazione in formaggio e allo stesso tempo garantisce un reddito addizionale dai vitelli maschi sia venduti alla nascita, sia allevati da ingrasso come fonte di reddito addizionale.
Anche la razza Jersey, che ha ormai raggiunto una numerosità ragguardevole sul territorio italiano, pur essendo originaria del Nord Europa, presenta delle caratteristiche di rusticità che possono bene adattarsi ad un indirizzo biologico. Altre razze potrebbero specificatamente legarsi al territorio in cui l’azienda è collegata e valorizzare produzioni tipiche del territorio. In tabella 2 è riportato l’elenco delle razze italiane da latte o a duplice attitudine che hanno un numero di capi controllati superiore a 800. Quando la numerosità della popolazione totale è inferiore alle 3.000 unità mettere in campo azioni di miglioramento genetico diventa cosa complessa, perché considerata la ridotta dimensione totale tenere sotto controllo l’aumento di consanguineità è fondamentale e viene prima di ogni azione di selezione.
Scegliere di allevare una di queste razze è un modo per preservare il territorio e conservare le produzioni tipiche a cui quella razza è legata, e costituisce di per sé una scelta genetica precisa, anche se lascia poco spazio per azioni di miglioramento genetico in senso classico.

razze, duplice attitudine
 

Corna sì o corna no?

L’assenza di mutilazioni è un valore caratterizzante l’allevamento con metodo biologico, è cioè uno di quegli elementi che dovrebbe far capire a chiunque, alla prima occhiata, che gli animali vengono allevati secondo il metodo biologico e non quello convenzionale. Il divieto di mutilare riguarda anche le corna, tuttavia è possibile decornare in deroga per motivi di sicurezza. La questione di sicurezza non può essere messa in discussione, le corna possono rappresentare un pericolo per gli animali e gli operatori, ma numerose esperienze indicano che con una corretta organizzazione delle strutture e degli spazi (indicativamente si parla di un aumento di spazio disponibile del 50%), ed eventualmente la decornazione o l’allontanamento degli animali più aggressivi, le problematiche si riducono notevolmente o si annullano.
La questione che rimane aperta per il biologico non è tanto la mutilazione in sé come pratica dolorosa, quanto il principio di eliminare un organo che caratterizza il bovino e che deriva da un preciso disegno evolutivo. Il fatto di non conoscere ancora la funzione delle corna non può essere un buon motivo per toglierle sistematicamente.

corna, polled, biologico
Rimane aperta la questione se nel biologico sia meglio allevare o meno animali “polled”

In un’interessante pubblicazione del FiBL/Demeter, presto disponibile anche in italiano, si tenta di rispondere alla domanda “Perché le vacche hanno le corna?”. Nello studio viene messa in relazione la presenza delle corna con le caratteristiche metaboliche degli animali, viene osservata l’embriogenesi e la struttura anatomica delle corna, che sono parte integrante dei seni frontali e che se tolte, negli animali giovani determinano un cambiamento visibile della struttura del cranio. Senza voler entrare troppo in dettaglio, si può affermare che la strada per la comprensione di questa e altre caratteristiche dei nostri animali è ancora lunga. L’unica possibilità che abbiamo per sviluppare un allevamento realmente biologico e sostenibile è continuare a cercare il modo di collaborare, o meglio co-evolverci con i nostri animali
 

Passaggio al bio

Per un allevamento tradizionale che vuole passare al biologico la fase di transizione è il periodo ideale per impostare un nuovo programma di selezione che porti la mandria verso un tipo di animale che meglio si adatti alla nuova “strutturazione e gestione” dell’allevamento.
Se già si alleva una razza locale magari a limitata diffusione, lo spazio per la selezione è molto ridotto e si ricade nella condizione sopra descritta per gli allevamenti che partono da zero nel caso scelgano di allevare razze a limitata diffusione e locali.
Se si alleva la razza da latte più diffusa in Italia e cioè la Frisona, la fase di transizione deve segnare un cambio di passo nella strategia di selezione dei tori di FA rispetto agli indici ufficiali. Si tratta di dare priorità a caratteristiche diverse da quelle che caratterizzano la selezione nazionale indirizzata dal PFT, di adottare criteri più specifici per l’allevamento biologico come evidenziato da tutte le ricerche condotte sull’argomento negli ultimi anni. Lo IES e il nuovo ICS-PR che danno meno enfasi alla produzione e maggiore importanza a robustezza e salute possono essere di aiuto nell’individuare soggetti più adatti, anche se l’ideale sarebbe mettere a punto un indice ad hoc per il biologico ed il suo contesto economico-produttivo.
Una volta individuato lo strumento di selezione in questa fase, l’utilizzo di test genomici per individuare le madri più adatte a trasmettere il corretto set genetico e di biotecnologie come il seme sessato, può essere strategico per ottenere più velocemente un gruppo di animali con le caratteristiche desiderate per il nuovo corso dell’allevamento.

di Fabiola Canavesi