Nelle stalle da latte “intensive” i patogeni prosperano? Non proprio

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Nelle stalle da latte “intensive” i patogeni prosperano? Non proprio

Un recente studio realizzato da un team di ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e delle Università di Milano e di Parma dimostra che il sistema di conduzione ha un effetto marginale sulla circolazione di molti agenti infettivi

 

Un importante passo avanti verso la comprensione del significato – complesso e articolato – che si cela nei concetti di sostenibilità delle produzioni zootecniche e di qualità del latte è stato compiuto da un team di ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e delle Università Statali di Milano e di Parma. Il loro studio si è posto l’obiettivo di confrontare diverse tipologie di allevamento bovino per la produzione di latte (biologico, convenzionale, estensivo, intensivo) dal punto di vista della circolazione di agenti di malattie infettive e di ceppi batterici resistenti agli antibiotici.
La ricerca è stata condensata in un articolo scientifico intitolato: “Do organic, conventional, and intensive approaches in livestock farming have an impact on the circulation of infectious agents and antimicrobial resistance? A systematic review, focused on dairy cattle”, pubblicato sulla rivista Frontiers in Sustainable Food Systems a cura di Massimo Pajoro, Matteo Brilli, Giulia Pezzali, Miriam Vadalà, Laura Kramer, Paolo Moroni e Claudio Bandi.
Uno studio realizzato nell’ambito di un più ampio programma di ricerca sui diversi aspetti della qualità, sostenibilità e salubrità delle produzioni lattiero-casearie, avviato circa un anno fa dall’Ircaf (Invernizzi Reference Center on Agri-Food).

 

Uno tra tanti

Come ci spiega Massimo Pajoro, ricercatore Ircaf, “la problematica è stata affrontata attraverso l’analisi sistematica della letteratura scientifica attualmente presente nelle banche dati, in relazione agli allevamenti di bovini da latte, con una focalizzazione primaria sulla circolazione di agenti infettivi, e una seconda focalizzazione sulla diffusione della resistenza agli antibiotici nelle diverse tipologie di allevamento”.
Un aspetto importante messo in evidenza dagli articoli esaminati è la presenza di fattori di rischio che possono avere un forte impatto sulla circolazione di agenti infettivi in un allevamento, a prescindere dal fatto che l’allevamento sia a conduzione biologica o non biologica (o estensiva o intensiva).
La complessità del sistema è tale che il tipo di gestione è solo uno dei tanti fattori che possono influenzare la circolazione dei patogeni. Nei fatti, possono essere identificati numerosi di fattori di rischio potenzialmente associati alla circolazione di una determinata infezione, ma solo una parte di tali fattori potrebbe essere strettamente associati allo specifico sistema di conduzione (ad es., biologico piuttosto che convenzionale). In altre parole, il sistema di conduzione potrebbe avere un effetto marginale sulla circolazione di molte infezioni.
Inoltre, agenti infettivi diversi potrebbero essere influenzati in modo diverso dal fatto che un allevamento possa essere a conduzione biologica oppure convenzionale, a conduzione estensiva oppure intensiva.
In conclusione, per quanto riguarda la circolazione degli agenti infettivi negli allevamenti per la produzione di latte bovino, è plausibile che allevamenti di tipo “non convenzionale”, ovvero di tipo biologico o di tipo estensivo, non abbiano particolari vantaggi rispetto ad allevamenti di tipo “convenzionale”. Come sottolineato da Pajoro, questo non implica che non debbano essere messe in atto le tipologie di interventi funzionali alla promozione del benessere degli animali.

 

Antibiotico-resistenza

Per quanto riguarda la presenza di batteri resistenti agli antibiotici, lo studio effettuato ha permesso di rilevare una maggiore diffusione di ceppi resistenti (o di geni di resistenza) negli allevamenti di tipo convenzionale, rispetto agli allevamenti di tipo biologico.
Questo risultato è coerente con l’attesa che l’uso di antibiotici sia minimo nelle aziende agricole biologiche, con una conseguente bassa pressione selettiva per la resistenza agli antibiotici.
Tuttavia, la presenza di ceppi (o geni) resistenti risulta in generale non preoccupante negli allevamenti di bovine da latte di entrambe le tipologie.

 

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Raccomandazioni metodologiche

Massimo Pajoro sottolinea come in futuro, dal punto di vista metodologico, sia importante avviare l’utilizzo di metodologie statistiche che permettano di tenere conto della presenza di fattori in grado di mascherare i reali effetti delle modalità di conduzione sulla presenza di agenti infettivi e ceppi resistenti.
Si consideri che un’indagine su un allevamento non può essere considerata come equivalente a uno studio condotto in laboratorio, dove la maggior parte delle variabili possono essere controllate. Negli allevamenti, gli animali vivono in condizioni diverse, con numeri diversi, genotipi diversi, ecc. Questi fattori confondenti possono mascherare relazioni significative o crearne di artificiali.
Dunque, oltre ad approcci statistici specifici, la raccomandazione degli autori di questa ricerca è che gli studi futuri che confrontano diversi tipi di gestione nelle produzioni animali, includano una chiara presentazione di tutti i possibili fattori confondenti, nonché di tutti i possibili fattori di rischio che non siano intrinsecamente associati al tipo del management sotto inchiesta. Infine, un’altra raccomandazione è che i sistemi di gestione oggetto di analisi siano chiaramente definiti.

di Stefano Boccoli