Ecosostenibilità, una sfida che profuma di business

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Ecosostenibilità, una sfida che profuma di business

Per gli allevatori la transizione ecologica è certamente una sfida, ma anche un’interessante opportunità: è questo uno dei messaggi lanciati in occasione del meeting di Desenzano (Bs) organizzato da Alta Italia in collaborazione con Sugar Plus e Ferraroni

 

Inutile lottare contro i mulini a vento: per quanto la zootecnia abbia ben poche responsabilità nel riscaldamento globale, è meglio mostrarsi proattivi agli occhi dell’opinione pubblica e cogliere al volo le opportunità di business che filtrano dalle maglie delle politiche green. Questo l’invito di fondo rivolto ai produttori di latte che hanno partecipato all’evento organizzato da Alta Italia in collaborazione con Sugar Plus e Ferraroni, che si è tenuto nelle scorse settimane a Desenzano (Bs). Pur con sfumature diverse, i tre relatori intervenuti in materia ambientale hanno infatti suggerito agli allevatori presenti in platea di fare in sostanza “buon viso a cattivo gioco” e addirittura di investire nell’ecosostenibilità.

 

Mitigazione e adattamento

È vero, il contributo della zootecnia alle emissioni climalteranti – ha innanzitutto chiarito, evidenze scientifiche alla mano, Alberto Stanislao Atzori dell’Università di Sassari – è obiettivamente modesto (5,8%) e in virtù del continuo miglioramento dell’efficienza produttiva messo a segno nelle nostre stalle, l’impronta carbonica degli allevamenti bovini (chili di CO2 equivalenti emessi per chilo di latte o di carne) è diminuita, negli ultimi 30 anni, dell’1% all’anno. Qualora poi in futuro venissero applicate le nuove metriche di valutazione delle emissioni, al settore bovino sarebbe sufficiente una diminuzione annuale dello 0,33% della propria carbon footprint (“un obiettivo che verrà centrato con il solo miglioramento genetico”) per figurare tra le attività che addirittura raffreddano il pianeta.
Due, quindi, secondo Atzori, le strade da percorrere: da un lato la mitigazione dell’impatto climalterante a beneficio della collettività, attraverso la riduzione diretta delle emissioni di metano – consentita dall’integrazione delle diete con alcuni modulatori ruminali – oppure attraverso l’incremento dell’efficienza produttiva o ancora intensificando il sequestro di carbonio da parte dei terreni. Un percorso, questo – ha precisato Atzori – che pur passando dalla certificazione della carbon footprint delle singole aziende agricole, deve essere necessariamente guidato dall’industria lattiero-casearia, visto che la convenienza sta nel presentarsi sul mercato, e prima degli altri concorrenti, con latte e formaggi “a bassa impronta carbonica”. L’altra strategia è l’adattamento nel lungo periodo ai cambiamenti climatici, e qui è il singolo allevatore che sarà chiamato intervenire, a suon di investimenti in nuove tecnologie, con l’obiettivo di proteggere le performance aziendali dalle sempre più frequenti ondate di calore e dalla siccità.

 

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In virtù del continuo miglioramento dell’efficienza produttiva messo a segno nelle nostre stalle, l’impronta carbonica degli allevamenti bovini (chili di CO2 equivalenti emessi per chilo di latte o di carne) è diminuita, negli ultimi 30 anni, dell’1% all’anno

 

Cambio di approccio

No ai negazionismi: di fronte a un’opinione pubblica del tutto inconsapevole su ciò che avviene all’interno di una stalla o di un’azienda agricola, è preferibile puntare a riguadagnare la fiducia della collettività ammettendo le proprie responsabilità, per quanto minime, e mostrandosi impegnati nel risolvere il problema. È questo l’approccio che Don Niles, allevatore e veterinario della Contea di Kewanee nel Wisconsin (Usa), ha suggerito di mantenere di fronte a un’accusa di inquinamento ambientale.
Ecco qui, in estrema sintesi, la sua esperienza: dai rubinetti della sua Contea scende acqua marrone? È naturalmente colpa degli allevatori, rei di spandere le deiezioni delle vacche su terreni a fondo roccioso (“dolomitico”). Reflui che perciò potrebbero filtrare e inquinare prima le falde acquifere, e poi le acque superficiali. Ecco allora che un gruppo di una quarantina di allevatori locali, pur all’oscuro delle loro reali responsabilità nel fenomeno (ascrivibile, ad esempio, anche alle acque filtrate dalle fosse biologiche delle abitazioni civili…) si riuniscono in un’associazione (Peninsula Pride Farms) la quale, ancora prima di un intervento governativo, mette a punto un codice di buone pratiche di gestione delle deiezioni. Una serie di provvedimenti a carattere volontario, mirati alla protezione della qualità delle acque superficiali e profonde, che poi vengono applicati con scrupolo nelle aziende agricole degli associati.
Agli incontri di questo gruppo di allevatori, di cui fa parte lo stesso Niles, partecipano anche i loro grandi accusatori, che un po’ alla volta cambiano parere, e alla fine il rispetto dell’opinione pubblica viene riguadagnato. “Abbiamo semplicemente dimostrato – ha concluso Don Niles – che siamo impegnati nel fare la nostra parte”.

 

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Da sinistra: Agostino Bolli di Alta Italia con Don Niles, allevatore e veterinario della Contea di Kewanee nel Wisconsin (Usa)

 

“Follow the money”

Ancora più concreto è stato il messaggio lanciato a Desenzano da Vitaliano Fiorillo della SDA Bocconi: la storia economica insegna che chi resiste ai cambiamenti è destinato a uscire dal mercato. E per quanto le filiere agroalimentari siano attualmente alle prese con sfide epocali, è proprio nel settore primario che oggi stanno investendo le banche e i fondi internazionali, in vista della futura esplosione demografica: nel 2022 si è trattato, a livello mondiale, di 28 miliardi di dollari, di cui il 36% (10,2 miliardi) è stato dedicato alle tecnologie per l’azienda agricola (“farmtech”) e in particolare (7,1 miliardi) alle tecnologie per il miglioramento dell’ecosostenibilità.
Va dov’è il denaro (“follow the money”) recita la regola aurea del buon investitore, per cui Fiorillo ha suggerito ai presenti di puntare su quelle tecnologie in grado di aumentare l’offerta aziendale di “servizi ecosistemici”: impianti di biogas e biometano, tecnologie per la zootecnia di precisione, per il contenimento delle emissioni di metano e di azoto, o per l’agricoltura rigenerativa.