Da poche cellule ecco un (pallido) hamburger

Attualità

Da poche cellule ecco un (pallido) hamburger

La “carne in provetta” oggi è realtà. Ma sotto il profilo della qualità nutrizionale, come della sostenibilità etica, economica ed ambientale, i dubbi sono ancora tanti

L’idea nasce dalla preoccupazione per l’incremento della domanda alimentare da parte di una popolazione in crescita. Secondo i dati della FAO (Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura), nel 2050 infatti sarà indispensabile produrre il 70% di alimenti in più per soddisfare tale domanda.

La sfida odierna però sta anche nella necessità di incontrare le esigenze di consumatori sempre più attenti alle questioni ambientali e al benessere degli animali. Con questo target in mente, da tempo il mercato offre dei prodotti a base di alimenti vegetali che imitano diversi tagli di carne, scavalcando così gli aspetti da alcuni considerati discutibili.

Le alternative alla carne hanno visto negli ultimi anni sensibili miglioramenti in termini organolettici. Obiettivo comune ai produttori di “carne vegetale” e a quelli di “carne artificiale” è infatti proprio quello di riprodurre nel modo più fedele possibile l’aroma, la tessitura e il colore della carne convenzionale (Chriki e Hocquette, 2020). 

carne artificiale, cellule staminali, hamburger, bioreattore, mioglobina

Sotto il profilo strettamente nutrizionale, la carne ottenuta dall’animale risulta più ricca di emoglobina e di ferro

 

Nel vivo del processo

“L’obiettivo – ha recentemente spiegato il ricercatore Jean-François Hocquette in occasione di un convegno a tema organizzato dall’Eaap (Federazione Europea delle Scienze Animali) – è quello di ricreare con poche cellule la complessa struttura del muscolo dell’animale”. Dall’animale vivo viene prelevata una porzione di tessuto da cui verranno liberate alcune cellule staminali, che hanno la capacità di proliferare e trasformarsi in altri tipi cellulari. 

Dopo essere state coltivate in un mezzo di coltura appropriato, che fornirà nutrienti, ormoni e fattori di crescita, le cellule inizieranno a dividersi e a fondersi tra loro per formare delle fibre muscolari. Per accelerarne lo sviluppo vengono inserite in bioreattori e mantenute a una temperatura simile a quella corporea degli animali. “In questo modo – continua Hoquette – sarà possibile produrre enormi quantità di carne artificiale, per far fronte alla crescente e diversificata domanda alimentare. Tuttavia, la ricerca è ancora lontana dalla fedele imitazione del muscolo reale, costituito da fibre organizzate, vasi sanguigni, nervi, tessuto connettivo e cellule adipose. Anche il colore è diverso da quello della carne convenzionale: quella artificiale risulta infatti più chiara a causa dell’assenza di mioglobina e al basso contenuto di ferro”. 

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Il sogno dei ricercatori di riprodurre artificialmente il muscolo, in tutte le sue componenti, deve ancora avverarsi

 

Aspetti controversi

Produrre carne coltivata è davvero più sostenibile rispetto alla carne convenzionale? Quando si parla di sostenibilità ci si riferisce alla sicurezza alimentare, ambientale e agli aspetti etici ed economici. “Il primo elemento di discussione – osserva Carlotta Giromini, ricercatrice dell’Università di Milano – è l’utilizzo del siero fetale bovino come componente del terreno di coltura. Questo elemento renderebbe impossibile l’acquisto del prodotto a quella fetta di consumatori che non contemplano la macellazione degli animali nelle loro scelte alimentari”. Per quanto riguarda la sostenibilità ambientale, è stato osservato che inizialmente il riscaldamento globale dovrebbe essere minore con la produzione di carne coltivata, ma non a lungo termine perché il metano (associato all’allevamento di bovini) non si accumula così a lungo nell’atmosfera, a differenza dell’anidride carbonica associata all’energia fossile impiegata per riscaldare le cellule in coltura. Tuttavia, non si hanno certezze in quanto non si conoscono i sistemi che verranno sfruttati su larga scala per la produzione di carne coltivata. Altro aspetto su cui ragionare è il costo, che risulta al momento piuttosto elevato e poco sostenibile per il consumatore medio. 

 

E il consumatore?

“Le potenziali barriere ad un consumo regolare di carne coltivata – spiega Daniele Asioli, ricercatore in scienze dei consumi all’Università di Reading (Regno Unito) – sono la percezione di innaturalità, il prezzo elevato, la neofobia (sentimento di avversione verso le novità) e le preoccupazioni per l’aspetto nutrizionale. Tuttavia, questi aspetti riguardano una situazione ipotetica, e potrebbero risultare differenti se il consumatore avesse realmente la possibilità di provare la carne prodotta in laboratorio. Se questo prodotto venisse realmente venduto anche il prezzo scenderebbe, altrimenti la maggior parte dei consumatori non sarebbe disposta ad acquistarlo”. Come sottolinea Federica Cheli, professoressa di Nutrizione ed alimentazione animale all’Università di Milano, sono necessari ancora progressi dal punto di vista tecnico, economico e qualitativo prima che questo prodotto venga commercializzato. Resta da vedere se questo progresso sarà sufficiente affinché la carne artificiale possa essere competitiva rispetto alla carne convenzionale e al numero crescente di succedanei alla carne (Chriki e Hocquette, 2020).

Serena Labbrozzi