Ristallo dei Limousin, scende in campo Beefcare

Attualità

Ristallo dei Limousin, scende in campo Beefcare

Grazie al protocollo sanitario messo a punto da Cooperativa Scaligera, Università di Milano, Istituto zooprofilattico delle Venezie e Azienda Ulss 9 Scaligera, gli ingrassatori italiani oggi sono nelle condizioni di ridurre al minimo indispensabile il ricorso agli antibiotici nel controllo della malattia respiratoria del bovino

Uno a uno palla al centro. Il comparto del bovino all’ingrasso pareggia i conti con la zootecnia da latte e produce un protocollo di gestione sanitaria del ristallo di razza Limousine che consentirà agli allevatori italiani di adeguarsi alle nuove indicazioni normative sull’uso del farmaco veterinario (Regolamento 6/2019), che a partire dal prossimo gennaio metteranno all’indice l’uso preventivo degli antimicrobici.
Infatti, come i protocolli di asciutta selettiva sviluppati per le stalle da latte offrono una concreta alternativa all’uso dell’antibiotico a tappeto come strumento di prevenzione nei confronti delle mastiti bovine, così il protocollo Beefcare messo a punto da Cooperativa Scaligera, Università di Milano, Istituto zooprofilattico delle Venezie e Azienda Ulss 9 Scaligera consente di ridurre al minimo indispensabile il ricorso agli antimicrobici nel controllo della malattia respiratoria del bovino, il nemico numero uno per chi importa dalla Francia ristalli di razza Limousine.

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In occasione dell’incontro di Mozzecane, a fare gli onori di casa è stato il presidente della Cooperativa Scaligera, Nicola Fortuna


È questo il quadro emerso dal convegno recentemente tenutosi alla Corte Scaligera di Mozzecane (Vr), a cui hanno partecipato tutti i principali portatori di interesse del settore e che si è focalizzato sugli studi di campo dai quali è scaturito il protocollo Beefcare. Un lavoro giustamente definito “ciclopico”, quello realizzato dal team dirigenziale e veterinario della Cooperativa Scaligera – rispettivamente Matteo Fortuna, Enzo Fava e Luigi De Rossi – in stretta collaborazione con Carlo Angelo Sgoifo Rossi dell’Università di Milano, Eliana Schiavon dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie e Stefano Adami dell’Ulss 9 Scaligera: per 3 anni consecutivi questa valorosa squadra di tecnici e ricercatori ha affrontato di petto, su migliaia di bovini e partita dopo partita, i patogeni responsabili della BRD (Bovine Respiratory Disease) cercando di individuare il protocollo di accasamento giusto per conciliare salute e benessere animale, produttività e uso razionale degli antimicrobici come contributo alla lotta contro l’antibiotico-resistenza. Arrivando, passo dopo passo, a portare a casa il risultato.

 

Schemi vaccinali

Come sottolineato al convegno di Mozzecane da Eliana Schiavon, il primo obiettivo dello studio di campo è stato individuare un protocollo vaccinale efficace, in grado di prevenire le manifestazioni cliniche di BRD. Facile a dirsi ma non a farsi, perché oltre a individuare esattamente i patogeni da controllare (e dunque stabilire le valenze vaccinali), è stato necessario identificare la via e le tempistiche di somministrazione più favorevoli per evocare una risposta immunitaria protettiva, in grado di ridurre al minimo i trattamenti farmacologici, le ricadute e le mortalità.
Ebbene, dai test di laboratorio è emerso come i giovani Limousine arrivino in Italia non soltanto stressati dal viaggio e infetti da BoCV (virus respiratorio bovino, 87% dei capi), Mannheimia haemolytica (10%), Pasteurella multocida (5%) e virus sinciziale (5%), ma anche con importanti carenze nutrizionali (soprattutto di ferro e zinco, ma anche di selenio e rame) dovute all’allevamento brado nei (magri) pascoli di Francia.

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I broutards cresciuti sui pascoli francesi arrivano in Italia affetti da carenze nutrizionali

Alla luce di ciò, non devono dunque stupire i deludenti i risultati ottenuti con la somministrazione di tre valenze vaccinali (Mannheimia haemolytica, virus sinciziale e virus IBR) il primo giorno di accasamento: la vaccinazione contro Mannheimia su soggetti infetti, stressati e anemici – ha spiegato Eliana Schiavon – è addirittura controproducente, abbatte gli animali anziché fortificarli.
Parimenti deludenti, però, i risultati ottenuti con la somministrazione dello stesso tris di valenze a 7 giorni dall’arrivo in stalla, a causa di una crescita troppo lenta degli anticorpi circolanti contro la Mannheimia.
Alla fine i risultati migliori sono stati ottenuti con un approccio vaccinale soft, ovvero soltanto con la somministrazione di due vaccini possibilmente per via endonasale a 2-7 giorni dall’arrivo. Essi infatti stimolano immediatamente un’immunità locale specifica, nonchè la produzione di interferone attivo anche contro il virus respiratorio. Tuttavia – ha osservato l’esperta dell’Istituto zooprofilattico delle Venezie – è indispensabile che tale vaccinazione venga abbinata a rigorose misure di gestione ambientale: “strada facendo abbiamo capito che, da solo, l'utilizzo della vaccinazione non è pienamente efficace, e che è indispensabile migliorare le condizioni ambientali all’accasamento, e in primis stabulare i nuovi arrivi all’interno di un box con lettiera pulita”.

 

Gestione ambientale

Un box pulito, con paglia pulita e asciutta – ha di seguito specificato Carlo Sgoifo Rossi – è un elemento fondamentale per controllare la carica microbica, ma per i nuovi arrivi occorre anche predisporre un ambiente con un buon ricambio d’aria, uno spazio procapite adeguato (anche se la densità, ha notato il docente, è un fattore meno decisivo della pulizia), abbeveratoi ampi e di facile impiego. L’uso allo scarico di cancelli separatori ciechi funziona bene (perché abbatte lo scambio di patogeni tra i gruppi di animali), così come per le operazioni di vaccinazione è opportuno allestire un’area-infermeria dotata di corridoi larghi (ma in cui gli animali non riescano a girarsi) e con cancelli provvisti di blocca-testa.
Per quanto riguarda la dieta – ha di seguito suggerito Sgoifo Rossi – all’arrivo del gruppo è consigliabile lasciare a disposizione fieno lungo per mezza giornata, tanto per stimolare l’appetito dei broutards, e successivamente passare a una dieta a basso tenore proteico (proteina inferiore al 12% della sostanza secca) e a bassa concentrazione energetica (UFC 0,77-0,8). Tali accorgimenti sono finalizzati, rispettivamente, a proteggere l’apparato respiratorio da fenomeni infiammatori e a fare in modo che i consumi alimentari siano sostenuti. Completano l’opera un buon amalgama e una trinciatura fine delle particelle alimentari (per non offrire agli animali la possibilità di selezionare e ingerire solo le parti più gradite), un’integrazione minerale mirata (ferro, zinco, rame e selenio), e l’aggiunta di lieviti, mannano-oligosaccaridi e olii essenziali a fini schiettamente salutistici.

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Al convegno sul progetto Beefcare hanno partecipato tutti i principali portatori di interesse del comparto ingrasso

 

Valutazione del rischio

Occorre a questo punto passare alla terza colonna portante del protocollo Beefcare, quella decisiva per stabilire la necessità o meno di un “aiutino” antibiotico: il giorno dell’arrivo il personale di stalla è infatti chiamato non soltanto a rilevare sugli animali l’eventuale febbre o scolo nasale, ma a completare una vera e propria scheda di analisi del rischio BRD. Tra gli elementi che entrano nella valutazione: l’eventuale stress da caldo o ancor di più il possibile stress da freddo sofferti nelle zone di origine e al momento dell'arrivo in Italia; il numero di allevamenti francesi da cui proviene la partita; la durata della permanenza nei centri di raccolta; la durata del viaggio; l’omogeneità della partita; lo stato nutrizionale.
Alla luce di questi e altri rilievi, e dunque in base al rischio complessivo, il veterinario decide se è opportuno realizzare un intervento antibiotico sul gruppo, dunque un intervento di natura metafilattica che trova il suo razionale proprio nel documento di analisi del rischio.
Morale: dopo l’applicazione congiunta di questi tre ordini di misure, oggi ufficialmente inquadrate sotto il nome di “protocollo Beefcare”, nel periodo febbraio-maggio 2021 la Cooperativa Scaligera è riuscita a dimezzare l’uso di antibiotici all’accasamento, a contenere le ricadute nell’ordine del 5%, a riportare la mortalità a un invidiabile 0,76% e soprattutto a portare i quantitativi di antibiotici utilizzati su livelli veramente minimali, intorno ai 6 mg/PCU. Chapeau, direbbero i fornitori d’Oltralpe.