Ma che ci azzeccano gli allevamenti con la pandemia?

Secondo il virologo Marc, le epidemie che traggono origine dagli allevamenti sono da considerare del tutto eccezionali

Attualità

Ma che ci azzeccano gli allevamenti con la pandemia?

Le associazioni europee che si stanno battendo per l'abolizione della zootecnia cosiddetta “intensiva”, continuano ad alimentare il sospetto di un legame tra allevamenti e Covid 19. Ma cosa c'è di vero? Ecco l'illuminante parere di un famoso virologo francese

La ricorderete tutti, immagino, la puntata di Report andata in onda su Rai 3 lo scorso aprile, durante la prima ondata di Covid, in cui si dava ampio spazio a uno studio preliminare della Società italiana di medicina ambientale che ipotizzava una correlazione tra la diffusione del Coronavirus in pianura padana e l’inquinamento da Pm10, polveri in parte legate alle emissioni azotate prodotte dagli allevamenti. Ora che il Covid si è purtroppo diffuso ovunque, ben al di là della pianura padana, di questa ipotesi – che nei giorni dopo la trasmissione circolò come verità assodata – si sente parlar meno.
Ma le associazioni “abolizioniste”, che puntano a vietare sul suolo europeo gli allevamenti “intensivi”, continuano ad alimentare il sospetto di un legame tra zootecnia e Covid 19. Gli allevamenti convenzionali vengono infatti messi sul banco degli imputati come portatori di questa e altre pericolose malattie trasmesse dagli animali all'uomo (zoonosi).
Sulla questione è recentemente intervenuto anche un virologo francese, Daniel Marc del prestigioso Inrae - l’Istituto nazionale di ricerca per l’agricoltura, l’alimentazione e l’ambiente, il quale lavora per il Ministero dell’Agricoltura e per il Ministero della Ricerca dello Stato francese - che intervistato da un giornalista di “LaCroix”, ha rilasciato alcune interessanti dichiarazioni.
Dopo aver ricordato in che modo l’Uomo può contrarre un virus dal mondo animale (contatto diretto con l’ospite primario; passaggio del virus da un ospite intermedio e adattamento del virus all’uomo; puntura di un insetto vettore), Marc ha sottolineato come le epidemie che traggono origine dagli allevamenti vadano considerate come eventi eccezionali.

Inutile cambiare modello
E alla domanda dell’intervistatore se sia opportuno cambiare il nostro modello agricolo per diminuire il rischio epidemico, Marc risponde testuale: “Secondo me, che si tratti di allevamento intensivo o estensivo non cambia nulla. In entrambi i casi è il fatto di essere in contatto con degli animali a spiegare la trasmissione (dei virus), non il numero dei capi o le loro condizioni di allevamento. Abbiamo persino un paradosso in questo momento in Francia, con l’epidemia di influenza aviaria. Essa colpisce principalmente il sud-ovest del Paese perché qui viene praticato l’allevamento dell'anatra all’aperto e il virus proviene dal Selvatico. Al contrario, gli allevamenti intensivi di pollame, molto numerosi in tutta Europa, sono protetti dal virus perché sono confinati”.
E sempre a proposito di influenza, il virologo conclude così: “Se si fa fede alle fonti storiche risalenti a prima del ventesimo secolo, si nota che ci sono circa tre o quattro epidemie di influenza per secolo, e questo molto prima della nascita del nostro modello agricolo”.
Per l’intervista completa (in francese): https://www.la-croix.com/Sciences-et-ethique/Covid-19-liens-entre-elevage-intensif-epidemies-sont-exceptionnels-2021-01-16-1201135258.
Per quanti volessero invece approfondire il tema, consigliamo la lettura integrale di “Spillover” di David Quammen, in cui è riportata la cronaca “in presa diretta” di tutte le più recenti zoonosi registrate nel nostro pianeta.